A poche settimane dal voto regna una grande confusione. Il populismo sembra riprendersi la scena dopo circa un anno di governo dei cosiddetti tecnici. Inviterei a non sottovalutare la possibile presa sociale di una semplificazione del linguaggio in chiave di invettiva disperata contro tutto e tutti o in chiave di demagogiche proposte apparentemente risarcitorie per gran parte della società italiana. Il Grillo che invoca un bombardamento del Parlamento come fosse la palingenesi di un’intera classe politica e che strizza l’occhio a Casapound non è distante dal Berlusconi che restituisce i soldi dell’Imu fino ad abolirla (compreso a chi non ne avrebbe bisogno), che propone il condono totale per la gioia di tutti gli evasori o che tesse le lodi del fascismo “buono” di Mussolini. Il paese è allo stremo e demiurghi di ogni risma provano a carpire consensi momentanei nelle pieghe e nelle piaghe di una realtà sofferente. Ha difficoltà ad imporsi sulla scena pubblica una proposta generale di cambiamento in grado di dare una prospettiva all’Italia e contribuire a definire una nuova identità sociale e culturale all’Europa. Una proposta visibile e credibile che funga da collante a fronte di spinte centrifughe e contrappositive della società italiana. Fino alle primarie il centro sinistra ha fatto emergere questo progetto e la sua ambizione egemonica. Ora deve provare a sottrarsi dalle repliche ad imbonitori improvvisati o ad astuti mercanti ed imporre il proprio programma. Il berlusconismo pesa ancora nel fondo delle relazioni sociali e culturali oltreché morali dell’Italia. Ha destrutturato gli assetti istituzionali, i corpi intermedi dell’organizzazione sociale, ha negato autorevolezza, autonomia e professionalità (a volte con vere e proprie umiliazioni) ad insegnanti e studenti, giornalisti e magistrati, sindacalisti e lavoratori. Ha falcidiato con esasperante individualismi le relazioni umane e ha congelato in rigide gerarchie i rapporti di genere riproponendo abiette forme di mercificazione. Berlusconi sembrava in difficoltà, ma si riprende rispolverando il suo vecchio ed un po’ ripetitivo repertorio perché sa che c’è un pubblico deluso, rancoroso e sbandato, ma ansioso di essere rianimato. La “salita” di Monti ha resuscitato l’ennesima “discesa” in campo di Berlusconi. Dopo la penitenza ecco la promessa del paese della cuccagna. Eravamo facili profeti ad affermare che tecnocrazia e populismo si autoalimentavano a vicenda. Ma la “salita” del premier, ora è evidente, aveva ed ha come unico e dichiarato obiettivo quello di mettere in difficoltà la legittimità della proposta di governo del centro sinistra, snaturarne la fisionomia sociale e politica. Sradicare da quella proposta ogni riverbero ugualitario e redistributivo; recidere in una parola l’idea stessa in cui è cresciuta la sinistra. Non a caso martella in maniera sistematica sul pericolo Vendola e della CGIL. E’ l’animatore di un singolare Centro iperliberista e rigorista a Palazzo Chigi quanto assistenzialista e clericale in tanti territori del paese. Ma è in Europa, secondo me, la chiave dell’inaspettato protagonismo politico di Monti. Ci sono grandi interessi in gioco. L’Europa prova a cambiare pelle. Ieri in Francia, oggi in Italia e domani in Germania, il voto può premiare le sinistre e il professore tenta di impedire il pieno dispiegamento di questo rinnovamento. Le partite decisive riguardano le regole cogenti per i mercati finanziari, le modalità di attuazione della normativa per la tassazione delle transazioni finanziarie, un rilancio di una politica di sviluppo che sfugga agli imperativi recessivi del patto di stabilità e che valorizzi l’ambiente, la ricerca e l’innovazione e favorisca un’occupazione stabile, non precaria, un nuovo welfare ed una politica internazionale attiva imperniata su pace e cooperazione. Sul fondo c’è la proposta degli Stati Uniti d’Europa in grado di interrompere il drammatico processo di divaricazione interna tra cosiddetti Stati forti e cosiddetti Stati deboli che è cresciuto anche in virtù delle politiche conservatrici della Merkel e delle destre. La brutta vicenda di Mps evidenzia un modello di rapporto tra banche e mercati con l’immissione a gogò di derivati e prodotti tossici, diffuso in Europa e nella stessa Germania come ha recentemente osservato Gallino. E torna con forza un problema dirimente che è la vera questione che va affrontata una volta per tutte. L’acrimonia con cui Monti propone al Pd l’abbandono dell’alleanza con Sel e la critica ossessiva della Cgil tocca un punto sensibile che distingue i liberisti dalla sinistra: la concezione del lavoro e dei suoi diritti. Per il professore, come si evince dalle proposte ultime di deregolamentazione del mercato del lavoro e di sostanziale abolizione dello Statuto, i diritti e le tutele sono una variabile, se non un vero e proprio intralcio per l’impresa nella competizione globale. Chi si oppone è conservatore. Gli esodati? Effetti collaterali. La crescita della disoccupazione? Un prezzo dovuto al rigore di bilancio. Ed il welfare, dai disabili alle pensioni miserrime, al reddito per i giovani? Oggetto di spending review. Tagli insomma. E guai a mettere in discussione il finanziamento per gli F35! Di questo dovremmo discutere. E noi, con il popolo delle primarie, dobbiamo ritornare a dettare il racconto possibile di un paese diverso. Con più spirito di coalizione. Sel è un valore aggiunto ed è una garanzia leale che ancora a sinistra l’alleanza. In questi giorni confusi gli esponenti della lista di Ingroia quotidianamente attaccano un po’ meschinamente Vendola e Sel. Nichi fa bene a non replicare. Anche loro nel mordi e fuggi elettorale vorrebbero raccattare qualche votarello. Noi siamo impegnati in una partita un po’ più seria e un po’ più grande: il futuro dell’Italia e dell’Europa. Non sto invocando il cosiddetto “voto utile”. So bene cosa ha significato nel 2008 quando si è fatta circolare una contendibilità con la destra che non era nel novero delle cose possibili come il voto ha poi dimostrato. Qui la questione è molto diversa. Per pochi voti ci si gioca l’autonomia politica e culturale del centro sinistra, il destino del lavoro e la civiltà del paese. Per storia e cultura ho il massimo rispetto, nonostante i puerili attacchi, per ogni forma di espressione politica. Anche la più minoritaria. Ma rivendico il diritto ed il dovere di far comprendere bene qual è, oggi, il valore storico del voto al centro sinistra e quanto questo può pesare in Europa. Il voto a Sel concorre a realizzare questo importante obiettivo, ma segnerà anche il futuro di una sinistra che ha l’ambizione di governare per cambiare il paese.
dal quotidiano l’Unità