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La nostra sfida sta in quell'idea di democrazia che richiede prima di tutto programmi "diversi" su come si risponde ad una crisi epocale che tocca nel vivo testa e cuore delle persone, su come si governa un grande e disorientato paese come l'Italia, su come si sta in un'Europa che deve ritrovare la propria missione al di fuori dei soli precetti finanziari.
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Ogni voto è utile di Nichi Vendola

Il voto, ogni singolo voto, è l’arma pacifica della nostra democrazia. Per quanto si tenti sempre più di snaturarlo come merce che si vende e si compra, il voto non ha altro prezzo che non sia la dignità di chi lo esercita in maniera libera e responsabile. Solo così diventa l’arma di cui ogni singolo cittadino pacificamente dispone per scardinare l’andamento delle cose, aprendo le porte al cambiamento. È il cambiamento il nostro orizzonte, con il voto e dopo il voto. Perché è il cambiamento ad essere, qui ed ora, la partita veramente “utile”, necessaria, che ci mette in gioco. È da troppo tempo – un tempo opaco e triste – che sentiamo le parole della rassegnazione: quelle che ci dicono che la politica non può fare nulla se non sancire la propria impotenza. Il disco incantato ripete il ritornello: ”ce lo impone la crisi, ce lo dice l’Europa”. Parole usate per sterilizzare la speranza e per addestrarci a convivere fatalisticamente con le nostre paure e le nostre solitudini. Diciamo la verità: la crisi non ha prodotto soltanto diseguaglianze, povertà, immiserimento, mettendo ben al riparo le tante ricchezze di pochi. La crisi ha frantumato il senso alla parola “futuro” e ha riempito di paura e di solitudine il nostro presente: questo è il senso più profondo della nostra sconfitta. Della sconfitta del mondo del lavoro, cui è stato tolto dignità e valore. Della sconfitta culturale e politica del diritto ad avere diritti, di governare se stessi, il proprio corpo, il proprio orientamento sessuale, di poter sciogliere i nodi complessi e delicati che riguardano la nascita e la morte. Ci è stato tolto il bene infinitamente prezioso del tempo. Il tempo delle nostre esistenze che cercano il loro compimento nella bellezza di un ambiente rispettato, nella cura di relazioni umane solidali, nella ricerca di un sapere critico capace di nutrirci con la memoria e la conoscenza.

Non sono state né le immutabili leggi di natura né la presunta oggettività ed inevitabilità delle cose a tentare di spingerci nell’angolo dell’impotenza. È stata prima di tutto una certa politica fin qui complice di una finanza predona e malata della propria onnipotenza. È una politica che ha nomi e cognomi, ha partiti e giornali, ha banche e televisioni. Noi, che sembriamo i soli a farlo in Italia ma abbiamo buoni compagni in Europa, la chiamiamo col suo nome vero: è la destra. Innanzitutto la destra liberista e populista che, con Silvio Berlusconi, ha segnato in profondità 20 anni di storia italiana producendo un significativo regresso sociale e civile del nostro paese. Ma è anche la destra perbene e dell’elite tecnocratiche che invocano il dominio della tecnica come surrogato della politica e della democrazia. La destra, ha prima generato la crisi, poi è risultata incapace a contenerla e ora si candida nuovamente a governare le nostre vite intristite, rubandocele una seconda volta. Ma l’inganno si è spezzato. Di fronte alla crisi e alle cattive ricette anti crisi noi, la sinistra, vogliamo mettere da parte l’emergenza infinita per aprire porte e finestre al cambiamento possibile, in Italia come in Europa. Questa sfida vogliamo vincerla chiedendo un voto che abbia la forza di smontare l’inganno che giunge sino al punto di negare, di fronte alla crisi, l’esistenza stessa di una destra e di una sinistra. È un tentativo che pare ormai avere interpreti maldestri soltanto in Italia, se è vero che persino il Fondo Monetario sta tornando sulle strategie sin qui adottate per contrastare la crisi mettendo in chiaro gli errori compiuti dai neo-liberisti. Non si può imboccare la strada del risanamento e di una nuova crescita economica eco compatibile reiterando quelle politiche di rigore a senso unico e di austerità che hanno soffocato ogni sviluppo, accresciuto la disoccupazione anziché contrastarla, sbagliando tutti i calcoli dei tagli alla spesa pubblica come salute e istruzione con effetti depressivi sul ciclo economico.

La nostra sfida sta in quell’idea di democrazia che richiede prima di tutto programmi “diversi” su come si risponde ad una crisi epocale che tocca nel vivo testa e cuore delle persone, su come si governa un grande e disorientato paese come l’Italia, su come si sta in un’Europa che deve ritrovare la propria missione al di fuori dei soli precetti finanziari. Non esistono, se non nella retorica inconcludente di una concordia nazionale, “agende” che si pongono da sé medesime al centro di un governo immobile, che si sottraggono ad un confronto vero con le idee ad esse alternative, pronte a scommettere sull’ingovernabilità del paese e sul “tagliar le ali” per affermare di esistere. È la tecnica consumata di una vecchia e stanca politica, dentro cui non soffia  alcun vento fresco di cambiamento. Quello che abbiamo da dire con il nostro programma, sulla centralità del lavoro e sulla conversione  che abbia al centro la green economy , sul welfare europeo e sullo Stato di diritto, su quei beni comuni sottratti alla privatizzazione e restituiti alla cittadinanza, sugli Stati Uniti d’Europa che aprono finalmente il capitolo della lotta alla povertà e alla disuguaglianza, sull’affermazione di una nuova democrazia paritaria e di genere, tutto questo ha a che fare con una sinistra capace di misurarsi con il governo adesso, proprio nel punto più aspro e duro della crisi che ci investe. Per questo chiediamo un voto a Sinistra Ecologia Libertà. Per mettere in campo la nostra idea di democrazia e libertà, scolpendo con forza come prima parola del nostro programma di governo, la stessa che apre la Carta dei diritti fondamentali dell’Europa. La parola “dignità”. Benvenuta sinistra.

I punti del programma

Cominciamo dalla buona politica

Proponiamo che i rimborsi elettorali siano legati esclusivamente alle spese effettivamente sostenute per l’attività politica e la partecipazione dei cittadini. La necessità di una nuova legge elettorale e pensiamo che sia necessaria una revisione del vecchio titolo V della Costituzione che dia senso alle sfide che abbiamo di fronte in tempi di crisi.

Proponiamo che i rimborsi elettorali siano legati esclusivamente alle spese effettivamente sostenute per l’attività politica e la partecipazione dei cittadini. La necessità di una nuova legge elettorale e pensiamo che sia necessaria una revisione del vecchio titolo V della Costituzione che dia senso alle sfide che abbiamo di fronte in tempi di crisi.

La buona politica è quella che vive attraverso la partecipazione diffusa e diretta dei cittadini, che si dà regole e controlli trasparenti e che nega anche il minimo privilegio di casta proprio perché realizza la sobrietà nelle proprie pratiche ed azioni come condizione del suo unico scopo: essere lo strumento per l’affermazione della cosa pubblica. Per questo non c’è buona politica senza democrazia paritaria, rappresentanza di uomini e donne. Va immediatamente posto un tetto alle spese elettorali di ogni ordine e grado che, come accade ad esempio in Francia, preveda pene per i trasgressori, tra le quali la perdita del seggio. Il controllo delle spese elettorali andrà esteso almeno ai novanta giorni che precedono il voto. Proponiamo, con scadenza annuale, la pubblicità dei bilanci e dei rimborsi di ciascun partito sui siti dei diversi movimenti politici e su quelli di Camera e Senato, nonché la pubblicazione sui medesimi siti di tutte le contribuzioni superiori ai 5 mila euro annui. Da parte della Corte dei Conti vi dovrà essere il controllo anno per anno sui conti dei movimenti politici, dei gruppi parlamentari e di quelli consiliari regionali. Si dovrà premiare la capacita di autofinanziamento di un movimento politico riducendo al contempo quella legata al risultato elettorale. Va immediatamente applicata la cessazione del finanziamento per quei partiti e movimenti che non svolgono più attività politica. Uno dei limiti per l’utilizzo dei rimborsi elettorali, insieme a quelle relative le spese per il personale e la gestione ordinaria, riguarderà l’assoluto divieto di una loro utilizzazione per investimenti di tipo finanziario e immobiliare, neppure nel caso d’acquisto delle sedi di partito. Si opererà una riduzione dei benefici fiscali per le aziende che intendono finanziare la politica e favorire i finanziamenti da parte di persone fisiche. Accanto alla riduzione delle indennità si attuerà la soppressione dei vitalizi dei parlamentari e dei consiglieri regionali, contestualmente al taglio radicale della dotazione e dell’uso di auto blu per comprovate ragioni di sicurezza. Questi provvedimenti si inquadrano nel contesto della diminuzione del numero di deputati e senatori, che non dovranno superare complessivamente i cinquecento componenti rispetto ai più di novecento attuali; al superamento delle province, trasferendo competenze e organici in capo a comuni e regioni; alla riduzione drastica dei consigli di amministrazione, attraverso la nomina dell’amministratore unico, di tutte quelle società pubbliche attualmente controllate dagli enti locali.

Primo, il lavoro

Il lavoro è la leva dello sviluppo della persona, la chiave di accesso alla cittadinanza, l'espressione più reticolare della democrazia. Una cittadinanza senza lavoro è priva sia di reddito che di partecipazione alla produzione della ricchezza nazionale.

Il lavoro è la leva dello sviluppo della persona, la chiave di accesso alla cittadinanza, l’espressione più reticolare della democrazia. Una cittadinanza senza lavoro è priva sia di reddito che di partecipazione alla produzione della ricchezza nazionale. Non si esce dalla crisi, non si rimette in moto un grande paese come l’Italia senza conversione ecologica dell’economia, senza investimenti in istruzione e ricerca, senza innovazione e cambiamento del modello di specializzazione, senza qualità del lavoro. Servono 50 miliardi di euro da investire per creare nuova occupazione. In questi anni invece si è imboccata la strada contraria, verso l’ambiente come verso il lavoro, riducendo diritti sociali, occupazione, in particolar modo giovanile e femminile, retribuzioni. La precarietà permea ormai di sé un intero ordine sociale e investe tutta una generazione. Soprattutto le giovani donne su cui agisce una doppia esclusione: generazionale e di genere. La disoccupazione giovanile è pari al 37% della popolazione e al sud arriva fino al 50%. Noi proponiamo un Piano Verde per il lavoro che crei occupazione buona e qualificata, con investimenti pubblici capaci di stimolare quelli privati per la messa in sicurezza del territorio, delle scuole, per l’efficientamento energetico degli immobili, per la cura del nostro paesaggio e la riqualificazione urbana delle città. Una grande campagna per la difesa del suolo, la prevenzione del rischio sismico, il mitigamento delle conseguenze dei cambiamenti climatici: sono questioni vitali attraverso sui passa una revisione strategica e innovativa del concetto delle vere “grandi opere” che servono all’ammodernamento del nostro paese. Quaranta miliardi di euro nei prossimi dieci anni consentiranno di rimettere in sesto il nostro bene comune più prezioso: il territorio in cui viviamo. E al contempo questi interventi innescheranno la creazione di decine di migliaia di nuovi posti di lavoro, specie per i giovani, in ogni parte d’Italia. Un’altra “grande opera” che proponiamo è la “costruzione” di città sostenibili, per interrompere il devastante ciclo di espansione edilizia e di consumo del suolo (ben 70 ettari al giorno negli ultimi dieci anni), investendo viceversa sulla città come bene comune, città nelle quali sostenibilità sociale e sostenibilità ambientali diventino inscindibili. Passa per questa via quel nuovo modello urbano in grado di far crescere l’albero delle nuove professioni verdi (i bio-architetti, gli esperti di mobilità sostenibile, di riqualificazione energetica, di recupero dei centri storici) e dei nuovi stili di vita (dagli orti urbani ai trasporti “dolci”, dagli spazi a misura dei bambini ai luoghi animal-friendly).

Oggi l’85% delle assunzioni avviene con contratti precari. Il supermercato delle forme di assunzione ha peggiorato la vita delle persone, ha abbassato la produttività delle imprese, allontanato gli investimenti in formazione e innovazione. Noi proponiamo di combattere la precarietà nell’ingresso al lavoro, riducendo alle necessità vere, delle persone e dei processi produttivi, le tipologie di contratti possibili. Chi fa un lavoro stabile deve avere un contratto stabile, chi fa un lavoro subordinato deve avere un contratto subordinato e chi fa lo stesso lavoro deve avere la stessa retribuzione oraria. Va combattuto radicalmente il lavoro nero, forma assoluta di precarietà, anche attraverso il ripristino degli indici di congruità, rivelatori dell’esistenza di occupazione in nero.

Si stima (dati Istat) che l’economia sommersa valga 275 miliardi di euro, cioè il 17,5% dell’intera ricchezza (Pil) prodotta dal paese. I lavoratori irregolari sono stimati nell’ordine di 2,5 milioni. Noi proponiamo di combattere la precarietà durante il lavoro attraverso l’abrogazione della norma (articolo 8 della Legge 138 del luglio 2011) che consente la deroga ai contratti sulla base di accordi locali e determina quindi lo svuotamento del contratto nazionale e dello Statuto dei Lavoratori; il ripristino dell’articolo 18 (sui licenziamenti senza giusta causa e giustificato motivo) e la sua estensione alle aziende al di sotto dei quindici dipendenti; una legge efficace contro le dimissioni in bianco e l’estensione dei diritti fondamentali a tutti i rapporti di lavoro, dal diritto di voto, a quello di sciopero, alla malattia; una legge quadro per la democrazia sindacale, per il diritto di voto delle persone sugli accordi sindacali e la legge sulla rappresentanza sindacale per il diritto di ciascun lavoratore di eleggere propri rappresentanti. Ai lavoratori indipendenti con partite Iva va favorito l’accesso al credito e ai finanziamenti per progetti d’impresa con agevolazioni fiscali ad hoc.

Chi oggi perde il lavoro, sia temporaneamente che in via definitiva, viene tutelato diversamente a seconda dei settori produttivi in cui lavora e del tipo di contratto di lavoro. Questa diseguaglianza non solo non è stata risolta con i provvedimenti assunti dal ministro Fornero ma anzi essi hanno creato una nuova situazione drammatica per le persone che, espulse dai processi produttivi, non hanno ancora raggiunto l’età della pensione. Migliaia di donne e uomini senza reddito alcuno dopo una vita spesa lavorando, definiti con lo sgradevole termine di “esodati”. Noi proponiamo di combattere la precarietà quando si esce dal lavoro, attraverso l’estensione in senso universale degli ammortizzatori sociali a tutte le tipologie dei rapporti di lavoro e di affrontare in modo strutturale il problema degli esodati applicando loro le condizioni previdenziali esistenti al momento dell’uscita dal lavoro.

Il lavoro precario determina, insieme alle strutturali carenze del nostro sistema di welfare, forme di vera e propria precarietà esistenziale che finisce per lasciare da sole le persone e addossare alle donne l’intero peso dell’assenza di servizi sociali adeguati. Il sistema di welfare italiano, in parte lavoristico (dove i diritti sono riconosciuti in base al lavoro svolto e finanziati attraverso il versamento di contributi da parte di lavoratori e di imprese) e in parte universalistico (dove i diritti riguardanti la sanità, l’istruzione, l’assistenza vengono finanziati dalla fiscalità generale) manifesta una struttura ormai inadeguata nel rispondere alle nuove domande, alle nuove e crescenti diseguaglianze e povertà, all’esclusione dei giovani, all’invecchiamento delle persone. Noi proponiamo di investire sullo stato sociale: esso prima di tutto non è un costo, bensì una condizione essenziale allo sviluppo e alla coesione sociale. Per consentire alle ragazze e ai ragazzi l’autonomia e la libertà di sottrarsi al ricatto della precarietà proponiamo il reddito minimo garantito di 600 euro. Per garantire un futuro previdenziale ai giovani, oggi negato, proponiamo una riforma del sistema previdenziale che rivaluti le pensioni; che definisca età pensionabili differenti a seconda dei differenti lavori; che riconosca contributi figurativi per la cura dei figli e l’assistenza alle persone.

L’aumento dell’occupazione femminile è in grado di determinare un aumento del PIL fino al 7%, come sostiene la Banca d’Italia. Occorre per questo investire in infrastrutture sociali come gli asili nido, istituire congedi di paternità obbligatori di due settimane, dare sostegno fiscale alle imprese che aiutano la condivisione delle responsabilità familiari tra donne e uomini per mezzo della flessibilità degli orari di lavoro, fornire incentivi all’occupazione delle donne ed estendere l’indennità di maternità obbligatoria. Perché uscire dalla crisi e da questa lunga stagione recessiva dell’economia è possibile prima di tutto con il lavoro delle donne.

L’economia e il fisco

In Italia si pagano troppe tasse e i servizi non funzionano. Lo squilibrio del nostro sistema fiscale, oltre che la sua cronica incapacità di contrastare i comportamenti illeciti, deve puntare a una riforma di sistema che preveda l'imposta patrimoniale e riduca la pressione fiscale sui soggetti che oggi contribuiscono onestamente.

In Italia si pagano troppe tasse e i servizi non funzionano. Lo squilibrio del nostro sistema fiscale, oltre che la sua cronica incapacità di contrastare i comportamenti illeciti, deve puntare a una riforma di sistema che preveda l’imposta patrimoniale e riduca la pressione fiscale sui soggetti che oggi contribuiscono onestamente.

La pressione fiscale nel nostro paese è cresciuta, ma sono aumentate anche evasione ed elusione, fattori di ingiustizia e di inefficienza poiché vengono sottratti all’erario centinaia di miliardi di risorse e perché a pagare oltre l’80% delle tasse sono i redditi da lavoro dipendente e dei pensionati. La via d’uscita è una riforma del sistema che allarghi la base imponibile e riduca la pressione fiscale sui soggetti che oggi contribuiscono onestamente. La pressione fiscale va ridotta anche per le imprese, attraverso un sistema premiale. Il fenomeno dell’elusione e dell’evasione non esiste in nessun altro paese avanzato come in Italia. Le inefficienze del nostro sistema hanno favorito la creazione di zone d’ombra che oggi difendono con protervia la loro rendita di posizione. Occorre intervenire per rendere il prelievo fiscale uno strumento giusto e la prima riforma dovrà essere quella di rendere efficienti i metodi di riscossione, a partire da una integrazione tecnologica di tutte le banche dati che possono incrociarsi per accertare l’entità effettiva dei redditi e dei patrimoni.

La vera rivoluzione fiscale sarà quella che consentirà alla maggioranza degli italiani di pagare meno imposte grazie alle risorse prelevate da chi non ha mai pagato quanto avrebbe dovuto. Per raggiungere questo scopo avanziamo proposte strutturali che potranno modificare sensibilmente il sistema fiscale italiano. Proponiamo l’introduzione di una imposta patrimoniale che gravi sugli attivi finanziari, essendo quelli reali, le abitazioni, già colpiti dall’IMU. La patrimoniale sostituirà totalmente le imposte di bollo che attualmente gravano sui conti correnti e sui depositi amministrati di titoli. Ai fini del computo della base imponibile dell’imposta, sono state considerate le seguenti categorie di attivi finanziari: depositi bancari, risparmio postale, titoli pubblici e privati (obbligazioni delle aziende e titoli di Stato), azioni e partecipazioni in società di capitali, fondi di investimento. Stando ai dati del 2010 la somma dei valori di queste categorie ammonta a 2.488,3 miliardi di euro. Si può stimare, come indicano i dati della Banca d’Italia, che la ricchezza del paese sia distribuita in maniera tale che il 10% delle famiglie più ricche detiene il 45% della ricchezza e il 50% delle famiglie più povere ne detiene poco meno del 10%. La nostra proposta intende esonerare totalmente il 50% più povero della popolazione, assoggettare all’aliquota massima ipotizzata il 10% più ricco e individuare un’aliquota agevolata per il rimanente. Risulteranno esenti i patrimoni al di sotto dei 700 mila euro. Proponiamo di tassare i grandi patrimoni all’1,5% e quelli meno cospicui a due aliquote agevolate alternative tra loro: lo 0,15% e lo 0,30. In questa ipotesi il gettito si attesta intorno ai 20 miliardi di euro annui, che verrebbe ridotto di circa 5 miliardi per l’abolizione delle imposte di bollo. Vogliamo proporre un sostanziale riequilibrio del prelievo in favore delle classi meno abbienti. E ciò si può ottenere spostando in parte l’imposizione del reddito al patrimonio e modulando le aliquote delle imposte dirette. Proponiamo la revisione della curva delle aliquote, con l’inserimento di nuovi scaglioni al di sopra dei 150-200 mila euro annui e l’abbassamento di quelli mediani, per redistribuire la pressione fiscale.

Altre misure sono: l’introduzione, al pari della dichiarazione dei redditi, anche di quella per il patrimonio, così da rendere più rapidi ed efficaci i controlli sulla eventuale discrepanza tra reddito e patrimonio, chiaro indice di possibile evasione; la reintroduzione del falso in bilancio; della soglia massima di contante a 300 euro; l’elenco telematico clienti fornitori per ogni impresa di qualsiasi dimensione; l’obbligatorietà del sistema di pagamento elettronico in tutti gli esercizi e le attività professionali e il conseguente abbattimento sino a zero dei costi di intermediazione bancaria per l’attivazione dei POS; l’ICI sugli immobili di proprietà della Chiesa; introduzione di maggiori sanzioni per la seconda rata dei condoni IVA spariti e una maggiorazione d’imposta (dal 5 al 20%) sui capitali scudati; rafforzamento dell’attività di contrasto e di indagine in capo alla Corte dei Conti (la stima corrente della corruzione ammonta a perdite pari a 50 miliardi di euro all’anno); negoziazione con la Svizzera e con altri paesi di convenzioni tendenti a fare emergere i beni dei residenti italiani sul territorio non italiano (ciò comporta un gettito stimato tra i 20 e 30 miliardi di euro); allargamento della base imponibile dell’IRPEF per comprendere i redditi tassati con aliquota sostitutiva; abolizione dell’IMU per fasce di reddito basse e abbassamento delle aliquote per le altre destinando interamente il gettito ai Comuni; abolizione delle addizionali regionali e comunali; ripristino dell’aliquota IVA del 20% e reintroduzione di quella sui beni di lusso al suo ultimo livello prima dell’abolizione (38%). Famiglie ed imprese meritano dal punto di vista fiscale una maggiore attenzione.

Per le famiglie si propone la creazione di una “no tax area” che cresca in funzione dei carichi familiari, in luogo dell’area “no tax” prevista attualmente dalla struttura Irpef che non ha nessuna relazione con i carichi familiari. I nuclei familiari che non raggiungono la “no tax” area di riferimento vedranno trasformato il differenziale tra reddito dichiarato e la loro “no tax area” in un sussidio. La tassazione delle imprese avrà come scopo il rafforzamento della loro struttura patrimoniale. Per questo proponiamo la drastica diminuzione dell’aliquota dell’Ires, in particolare per chi assume, per chi investe in innovazione di prodotto e di processo e per lo startup. Proponiamo di spostare la tassazione sui dividenti e sui capital gains, mentre siamo contrari agli interventi indiscriminati per ridurre il cosiddetto cuneo fiscale. L’esempio dei 6 miliardi di euro dati alle imprese nel 2006 dal Governo Prodi, che non hanno generato né occupazione né innovazione, dimostrando che è molto più efficace l’intervento mirato a premiare le buone pratiche (come l’assunzione, l’innovazione, l’aumento dimensionale, l’internalizzazione).

Il debito pubblico dell’Italia ha avuto origine come disavanzo del bilancio dello Stato accumulato nel tempo. Per decenni le spese dello Stato sono risultate superiori alle entrate e la differenza è stata colmata attraverso l’emissione di titoli del debito pubblico come BTP, CCT, CTZ, sottoscritti sia dai risparmiatori italiani che esteri. È necessario risolvere alla radice la questione del debito, risolvendo la causa che lo genera: il disavanzo del bilancio dello Stato. È un obiettivo che si potrebbe, semplicemente, risolvere con l’aumento delle entrate e limitando le uscite. Verso le entrate la direzione non può che essere quella di aumentare la pressione fiscale sui più abbienti; verso le uscite la spesa può essere compressa e resa più produttiva senza sacrificare i servizi sociali. Le nostre prime azioni saranno: il taglio delle pensioni d’oro, a partire da quelle che superano i 50 mila euro l’anno; il contenimento della spesa militare e la immediata cancellazione del programma F 35; la limitazione dell’outsourcing della Pubblica Amministrazione (taglio drastico delle consulenze esterne e degli incarichi professionale); l’ottimizzazione della spesa sanitaria principalmente attraverso la revisione delle convenzioni con la sanità privata e la revisione della spesa diagnostica e farmaceutica; la riduzione drastica dei costi della politica (tema trattato in altra parte di questo programma). Lo stock di debito può essere ridotto anche attraverso la vendita di beni patrimoniali di proprietà dello Stato. Per questo proponiamo una decisa azione d’intervento tramite la creazione di una agenzia specifica sul modello e l’esperienza della tedesca Treuhandanstalt, con il compito di alienare il patrimonio pubblico non strumentale e non strategico e con il vincolo chele risorse ottenute dovranno essere destinate alla riduzione del debito pubblico.

Da ormai cinque anni il nostro paese è colpito dalla recessione economica, al pari delle più importanti economie mondiali. Questa situazione comporta, attraverso la riduzione del prodotto interno lordo, un costante e continuo impoverimento della popolazione, particolarmente acuto per le classi di reddito più basse. Sono fin qui state adottate regole di austerità che non hanno fatto altro che deprimere ulteriormente l’economia e la società. Noi vogliamo difendere l’euro e l’integrazione europea, al punto che proponiamo un processo politico che conduca ad una federazione europea, gli Stati Uniti d’Europa. Per farlo riteniamo che vadano contrastate le politiche di austerità e che, al contrario, vadano incentivate forme di maggiore integrazione delle politiche fiscali. L’austerità fiscale incide pesantemente sulla riduzione del prodotto interno lordo che, a sua volta, fa peggiorare gli indici di solvibilità del paese, aumentando la sfiducia degli investitori. Una riprova di ciò sta nel fatto che solo interventi esterni, come i recenti sviluppi nella politica di acquisto di titoli della BCE e il via libera al fondo salva stati riescono a mitigare la sfiducia. Dopo un anno di stretta austerità i risultati sono sotto gli occhi di tutti: il prodotto interno lordo è in forte contrazione e l’aggiustamento grava principalmente sulle classi meno abbienti. Noi riteniamo che per affrontare realmente la crisi e migliorare di conseguenza il funzionamento dell’intera eurozona, siano opportune le seguenti misure: porre fine alle misure di austerità, senza naturalmente che ciò comporti la sregolatezza fiscale del passato; accompagnare gradualmente le economie deboli su un sentiero di raggiungimento fiscale sostenibile socialmente; esigere un ruolo più attivo della banca centrale sia, come già ottenuto, attraverso il sostegno diretto ed illimitato ai titoli di stato dei paesi in difficoltà, sia attraverso la riforma del suo mandato che prevede tra gli obiettivi “la piena occupazione, la stabilità dei prezzi e tassi di interesse moderati nel lungo termine”; attuare una maggiore integrazione a livello di bilancio pubblico dei paesi membri dell’eurozona con la creazione di un “euro tesoro” sottoposto al controllo degli organi democraticamente eletti dai cittadini europei; avviare un processo costituente federale e un new deal europeo che rilanci la dimensione europea della spesa per gli investimenti. Infine noi consideriamo limitativo continuare a misurare la ricchezza e il benessere della popolazione tramite il prodotto interno lordo (PIL). Ci impegniamo a modificare questo indicatore e ad introdurre il Prodotto nazionale sapere e il Prodotto nazionale salute (PNS) come indicatori del futuro di una società. Salute e conoscenza nell’ambito delle società contemporanee sono determinanti per il loro livello di reale benessere.

La finanza

La nostra proposta in materia di sistema finanziario si basa sull'assunto contenuto nell'articolo 47 della nostra Costituzione, che recita: "La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito".

La nostra proposta in materia di sistema finanziario si basa sull’assunto contenuto nell’articolo 47 della nostra Costituzione, che recita: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”.

Gli scandali finanziari di Cirio e Parmalat hanno messo in evidenza le debolezze strutturali del mercato finanziario italiano, oltre che comportamenti illeciti dei protagonisti di avventure speculative. La nostra proposta in materia di sistema finanziario si basa sull’assunto contenuto nell’articolo 47 della nostra Costituzione: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme: disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.” Ritenere che i mercati finanziari possano essere totalmente liberi e pertanto non responsabili nei confronti della collettività è un’idea che va contro il principio costituzionale ed è una delle ragioni che spiegano il perché della crisi in cui ci troviamo. La protezione del risparmiatore, specie quello che ha meno dimestichezza con i mercati, è il primo punto di qualsiasi riforma del sistema. Occorre frenare ogni forma di speculazione, di cui soprattutto i piccoli risparmiatori sono le prime vittime. Alcune recenti iniziative vanno verso la direzione giusta, come il positivo divieto di negoziare i credit default swap (CDS) e le posizioni di vendita allo scoperto, ovvero senza avere il possesso titolo sottostante. Vogliamo una Tobin tax, con modalità diverse da quelle proposte dal governo Monti. Il suo ideatore, giustamente, la pensò come una “tassa globale”, anche per evitare i rischi di “arbitraggio fiscale”, ovvero di spostare la transazione finanziaria in uno dei paesi senza Tobin tax, finalizzata in particolare a compensare gli squilibri tra nord e sud del mondo attraverso il finanziamento di programmi di investimento verso paesi meno sviluppati. Oggi, con l’esplosione del mercato finanziario, la tassa sulle transazioni finanziarie è diventata una necessità, almeno per aree regionali vaste come l’Unione europea e introdurre questa tassa in ogni paese significa fare pressione su quei paesi non disponibili come il Regno Unito, la maggior piazza finanziaria continentale. Riteniamo che l’aliquota applicata sulla transazione debba essere inversamente proporzionale alla durata dell’investimento. Per investimenti di breve durata, tipicamente speculativi, l’aliquota dovrebbe essere ai massimi livelli, mentre dovrebbe tendenzialmente essere uguale a zero per gli investimenti di lunga durata.

L’agricoltura

L'agricoltura è un settore decisivo per il raggiungimento dei complessivi obiettivi della strategia EU 2020 in termini di crescita intelligente e sostenibile. In Italia i giovani possono appassionarsi e lavorare in un settore a lungo bistrattato se l'agricoltura diventa innovativa e qualificata.

L’agricoltura è un settore decisivo per il raggiungimento dei complessivi obiettivi della strategia EU 2020 in termini di crescita intelligente e sostenibile. In Italia i giovani possono appassionarsi e lavorare in un settore a lungo bistrattato se l’agricoltura diventa innovativa e qualificata.

Per noi l’agricoltura è una porta aperta verso il futuro. Il futuro di un’economia sana della terra, di nuova occupazione e nuova imprenditorialità per i giovani, di una qualità del cibo e dunque della salute, del rispetto e dell’equilibrio del territorio. Già oggi in Italia il settore agroalimentare costituisce il secondo comparto economico per entità di valore aggiunto e si possono aprire spazi enormi se la politica, come noi proponiamo, metterà in atto un vero e proprio progetto strategico rivolto all’agricoltura. Esso consiste prima di tutto in un piano nazionale per contrastare l’abbandono delle campagne. I punti principali del piano dovranno essere: una franchigia fiscale totale per i giovani agricoltori che si insediano nelle aree demaniali in stato di abbandono; una moratoria del consumo di suolo agricolo, obiettivo che si persegue con una legge urbanistica nazionale che fissa un tetto inderogabile e decrescente al consumo del suolo; difendendo il reddito degli agricoltori, burocrazia e in primo luogo del credito, principale causa dell’indebitamento che sta strangolando la nostra agricoltura. Il vero salto di qualità dell’agricoltura italiana si chiama cooperazione, aggregazione e integrazione delle imprese agricole, tracciabilità delle produzioni agroalimentari ed eticità delle tecniche di produzione, trasparenza delle informazioni sulla formazione dei prezzi, promozione della filiera corta, tutela delle risorse idriche. In ambito europeo occorre portare a compimento la battaglia per l’etichettatura di origine degli alimenti e portare l’Italia nel gruppo dei Paesi OGM free, valorizzando così l’enorme patrimonio enogastronomico di cui disponiamo attraverso la garanzia dell’assenza di organismi geneticamente modificati nell’intero settore agroalimentare.

L’acqua bene comune

L'acqua è un bene comune. Indietro non si torna. Dobbiamo ripensare i suoi modelli di gestione, favorendo la pubblicizzazione delle reti e dei sistemi di gestione.

L’acqua è un bene comune. Indietro non si torna. Dobbiamo ripensare i suoi modelli di gestione, favorendo la pubblicizzazione delle reti e dei sistemi di gestione. Quei beni necessari ed essenziali per proteggere e promuovere una vita degna per ognuno ed ognuna, l’acqua, il cibo, l’aria, la conoscenza, non possono essere messe a disposizione del mercato, ma riconosciuti come beni comuni. Questo ce lo hanno detto quei milioni di persone che nel nostro paese hanno votato nel referendum contro la privatizzazione dell’acqua, un risultato senza precedenti che impone al nostro Paese un radicale ripensamento delle politiche di gestione dell’acqua. In primo luogo riaffermeremo con forza che l’acqua è un bene comune ed un diritto umano da garantire alle generazioni attuali e future. L’ONU, con la risoluzione del 28 luglio 2010, ha dichiarato l’acqua un diritto umano universale inviolabile, naturale e coerente estensione del diritto alla vita, come segue: “dichiara il diritto all’acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”. È necessario, inoltre, proteggere l’acqua come bene comune, costruendo forme di tutela nei confronti dei numerosi interessi speculativi che gravitano nel settore. Dobbiamo ripensare ai modelli di gestione della risorsa acqua, favorendo la pubblicizzazione delle reti e dei sistemi di gestione. In tale contesto è necessario sancire il diritto dell’accesso al quantitativo minimo a tutte le fasce sociali, pensando a forme di welfare per i soggetti più deboli. Il prossimo governo di centrosinistra si dovrà impegnare in una gigantesca opera di razionalizzazione dell’acqua incentivando il risparmio idrico, la lotta agli sprechi, il riuso nei settori industriali ed agricoli. Andranno ripensate le città ed i contesti edilizi in tale direzione, mettendo al centro l’efficienza nell’uso delle risorse idriche.

Le rinnovabili e l’efficienza energetica

La strategia energetica nazionale proposta dal governo Monti è nata vecchia e sembra orfana del nucleare. Cerca in ogni modo di dare un futuro ai combustibili fossili che un futuro non lo potranno avere. La diffusione delle energie rinnovabili elettriche può trasformare l'Italia in un paese libero dal ricatto – politico, oltre che economico – di carbone ed energie fossili.

La strategia energetica nazionale proposta dal governo Monti è nata vecchia e sembra orfana del nucleare. Cerca in ogni modo di dare un futuro ai combustibili fossili che un futuro non lo potranno avere. La diffusione delle energie rinnovabili elettriche può trasformare l’Italia in un paese libero dal ricatto – politico, oltre che economico – di carbone ed energie fossili.

L’emergenza climatica e la necessità di assicurare sovranità energetica richiamano il nostro paese ad un ripensamento radicale della strategia energetica nazionale proposta dal governo Monti, che appare ancora ancorata ad un modello anacronistico centrato sull’ampliamento delle attività di estrazione di combustibili fossili. Né offre spazio per un ripensamento sull’energia nucleare. Crediamo invece che si debba imprimere una netta inversione di rotta, verso lo sganciamento dalla dipendenza dai combustibili fossili. Pensare ancora a trivellare per il petrolio o per il fracking (fatturazione idraulica) e cercare di imporre nuovi siti per centrali a carbone è l’esatto contrario di quanto un paese come l’Italia deve fare. Nei nostri mari non vogliamo nuove trivelle per il petrolio e per il gas. Per contro la struttura geologica e geoclimatica del nostro paese indica la possibilità di un futuro esclusivamente rinnovabile. Una possibilità che aprirà opportunità di nuovo impiego, rispetto della vocazione dei territori, riduzione delle emissioni, riduzione dei costi di produzione di energia, rispetto dell’ambiente. Ed al contempo trasformare l’Italia in un paese libero dal ricatto – politico, oltre che economico – di carbone ed energie fossili. Si tratta di recuperare un patrimonio di conoscenza e competenza che è andato disperso in seguito alle politiche dissennate del governo Berlusconi e del governo Monti, che hanno innescato una profonda crisi nel settore delle energie rinnovabili, con decine di migliaia di cassa integrati nel settore e molte imprese a rischio di chiusura.

Attraverso politiche di sostegno al solare termico e la geotermia a bassa entalpia (sfruttamento del calore della terra con sistemi ad alta capacità di mantenimento) ed a strategie di cogenerazione anche del metano sarà possibile nei prossimi cinque anni a ridurre del 50% il costo della bolletta energetica per riscaldamento. La diffusione delle energie rinnovabili elettriche può trasformare l’Italia in un paese libero dal ricatto – politico, oltre che economico – di carbone ed energie fossili. Crediamo che sia stato doveroso ridurre gli incentivi al solare fotovoltaico limitando drasticamente gli impianti sui suoli agricoli produttivi. Però è completamente sbagliato pretendere di bloccare il cambiamento verso le energie rinnovabili con politiche di contingentamento produttivo che mai sono state applicate a altre forme di energia (il sistema dei registri).

Per l’oggi e il futuro occorre per il fotovoltaico puntare sulla generazione di energia elettrica distribuita su tutto il territorio nazionale, liberalizzare lo scambio di energia rinnovabile tra produttori e consumatori, sostenere gli stoccaggi di energie rinnovabili, occorre una politica delle smart grid delle reti locali a partire dal condominio interconnettendo l’Italia come un grande alveare democratico. Così sarà possibile produrre e scambiare energia nel rispetto del paesaggio liberandosi dal giogo delle bollette.

Accanto al fotovoltaico dovrà essere incentivata l’energia eolica con la partecipazione al capitale delle comunità locali, sviluppando possibilità dell’eolico in mare nel rispetto dei paesaggi, la diffusione del mini e microeolico e il sostegno alla ricerca dei sistemi di eolico senza pale o di quello troposferico. Andrà inoltre valorizzare l’idroelettrico su piccola scala rispettando le portate minime dei fiumi e l’ittiofauna, portare in produzione tutti gli invasi esistenti svuotandoli dai fanghi e integrandoli con i sistemi fotovoltaici anche con la ricarica notturna dei bacini. La geotermia a impatto zero dovrà essere l’obiettivo da perseguire per la riconversione della geotermia attualmente esistente nel nostro paese.

Per quanto riguarda le produzioni di energia da biomasse agricole di scarto e da deiezioni animali con il sistema del biogas queste dovranno essere su piccola scala e diffuse nel territorio. Le produzioni agricole dedicate devono avvenire in territori marginali per le produzioni alimentari e essere prodotte senza uso di fosfati e pesticidi e contigue alla centrale. L’utilizzo del legno e delle potature deve essere anch’esso previsto per piccole centrali collocate nei luoghi di produzione del legno stesso e prevedere il coinvolgimento attivo dei coltivatori del bosco.

Si dovrà lavorare per rendere permanente lo sgravio fiscale per chi ristruttura (più alto) e per chi costruisce (più basso) edifici a risparmio energetico e a sicurezza dai terremoti. Dovranno essere sburocratizzati tutti i sistemi di risparmio energetico per famiglie ed imprese, riconoscendo ai condomìni che vogliono migliorare l’efficienza del loro edificio la possibilità di agire anche senza l’unanimità.

Per ogni ristrutturazione o nuova costruzione andrà reso obbligatorio l’uso dei sistemi di risparmio energetico sostituendo tutta la produzione di calore da gas con la cogenerazione di calore ed energia elettrica. Tutto il patrimonio pubblico andrà ristrutturato, ed ogni investimento pubblico in energie rinnovabili, purché redditizio per il risparmio anche economico, andrà sottratto dal computo dei paramenti del patto di stabilità. Vanno promosse le reti elettriche di ricarica dei veicoli elettrici, promuovendo mobilità a minor costo e minor inquinamento partendo dalle strade del mare ovviamente partendo anche dal cambiamento anche delle motorizzazioni marine da diesel a GNL (metano liquido).

La gestione dei rifiuti

Vogliamo varare una strategia nazionale di prevenzione finalizzata alla riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti.

Vogliamo varare una strategia nazionale di prevenzione finalizzata alla riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti.

Lo Stato risulta da anni latente in tema di gestione dei rifiuti. Dimostrazione ne è l’alto numero di regioni in difficoltà in materia (basti in tal senso vedere i commissariamenti e le situazioni di emergenza in materia), la crisi periodica di Napoli ed una sostanziale assenza di regolamentazione e controllo in materia di rifiuti speciali. Risulta indispensabile varare una strategia nazionale di prevenzione finalizzata alla riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti, al riciclaggio ed al riutilizzo. Gli obiettivi europei ci impongono una reale svolta, anche attraverso l’introduzione di specifiche misure (riduzione imballaggi, introduzione cauzione per contenitori riutilizzabili, ecc.) che abbia a riferimento la “strategia rifiuti zero”. È necessario, anche qui, ripensare il modello di sviluppo disancorando il vecchio principio per il quale il benessere è ancorato alla produzione di beni e, quindi, a quella dei rifiuti. La crescita, oggi, va ripensata ed intesa in modo sostenibile e durevole valorizzando prodotti e merci che garantiscono un tempo di vita più lungo. A ciò va aggiunta una robusta pianificazione industriale che consenta il rafforzamento della filiera del recupero di materia, soprattutto nelle aree del Sud del Paese ed una politica che incentivi l’utilizzo dei materiali provenienti dal recupero. In secondo luogo è importante riprendere il ruolo dello Stato nella definizione di regolamenti e linee guida attuative che riducano al minimo la possibilità di interpretazioni che permettano di favorire l’ingresso del malaffare nel settore. Infine, occorre garantire una piena attuazione del controllo, attraverso i più moderni sistemi informativi, in grado di “tracciare” il percorso dei rifiuti speciali.

La formazione

Nella classifica OCSE sugli investimenti e sullo stato di salute del sistema della Formazione nei paesi più industrializzati nel mondo, l'Italia occupa le ultime posizioni. Siamo penultimi, al 31° posto su 32.

La formazione Nella classifica OCSE sugli investimenti e sullo stato di salute del sistema della Formazione nei paesi più industrializzati nel mondo, l’Italia occupa le ultime posizioni. Siamo penultimi, al 31° posto su 32.

I dati parlano drammaticamente chiaro: l’Italia spende per l’istruzione solo il 9% del totale della spesa pubblica, quando la media dei paesi industrializzati è superiore al 13%. Nella classifica OCSE sugli investimenti e sullo stato di salute del sistema della Formazione nei paesi più industrializzati del mondo siamo penultimi, al 31° posto su 32. Le leggi finanziarie degli ultimi anni, che hanno utilizzato le risorse della scuola per fare cassa, e la controriforma delle Gelmini, cioè il più grande tentativo di distruzione del sistema di formazione pubblica e di demonizzazione degli insegnanti, hanno portato a questo risultato. Chi è venuto dopo, il ministro Profumo, ha operato in piena continuità: aumento delle risorse alle scuole private e tagli per gli enti pubblici di ricerca, blocca i concorsi universitari e proroga i rettori, indice un “concorsone” in cui i titoli accumulati non hanno alcun valore, lascia irrisolto il problema di chi nella scuola lavora da anni in totale precarietà e si propone di ridurre gli Organi Collegiali.

Il sistema delle barriere d’accesso, tasse alte e numero chiuso, ha ridotto la qualità della formazione e la quantità di persone laureate. Così l’università attuale non è più uno strumento per poter migliorare la propria condizione sociale. Lo stesso accesso ai gradi superiori della formazione è un continuo percorso ad ostacoli: dottorati senza borse, contratti a salario zero, corsi di formazione post-laurea spesso inutili, mortificante dipendenza dall’ordinariato, scollegamento totale con il mondo del lavoro. Assistiamo ogni giorno al processo di dequalificazione e di scarsa valorizzazione delle capacità di chi entra nel sistema della formazione. Siamo l’unico paese nel mondo industrializzato che non considera il finanziamento alla formazione pubblica come strumento anticiclico, per contrastare la crisi e frenare gli effetti della precarizzazione del mondo del lavoro.

Noi proponiamo una riforma del sistema della formazione che punti in primo luogo ad equiparare le risorse e gli investimenti per l’istruzione italiana a quelli della media europea, in linea con quel che richiede l’Europa attraverso il programma europeo per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020.

Nella scuola che vogliamo il tempo pieno è garantito a tutti. Abbiamo urgenza di abbattere la dispersione scolastica che in alcune aree del paese supera il 20%. Per questo è necessario introdurre l’obbligo scolastico fino ai 18 anni. E abbiamo bisogno di scuole pubbliche di qualità in tutto il territorio nazionale, che operino in reale autonomia. Proprio per questo è indispensabile garantire Organi Collegiali democratici, aperti, che abbiano pieno riconoscimento e diritto d’intervento nella didattica e negli aspetti organizzativi. Una delle priorità è il programma di edilizia scolastica, perché non possiamo più vivere tragedie come quelle di San Giuliano, non possiamo più pensare che i nostri figli passino la maggior parte della loro giornata dentro strutture pericolanti, fatiscenti, con barriere architettoniche che limitano l’accesso ai diversamente abili e privi di connettività. Attraverso il taglio delle spese per l’acquisto degli inutili aerei da guerra F 35 possiamo recuperare risorse da investire in un forte programma di edilizia scolastica in tutto il territorio nazionale che rinnovi le strutture e le adegui alla normativa antisismica, le doti di connettività, di laboratori e degli altri strumenti necessari. C’è bisogno di nuovi insegnanti. Ben tre generazioni di insegnanti sono intrappolati nella vergognosa gabbia della precarietà. Per questo noi proponiamo un piano pluriennale di immissione in ruolo dei precari, fino ad esaurimento delle graduatorie, coprendo tutti i posti disponibili nelle scuole. Oggi l’organico scolastico è fortemente sottodimensionato rispetto alle necessità: sono infatti ben 81 mila i posti disponibili per docenti e più di 12 mila quelli per il personale ATA. È necessario stabilire regole certe di reclutamento, sulla base delle reali esigenze di formazione degli studenti. Bisognerà per questo reintrodurre il tempo pieno e le ore di laboratorio che Gelmini aveva cancellato e garantire la presenza di insegnanti di sostegno, secondo il bisogno certificato. La soluzione praticabile è il concorso periodico che copra il fabbisogno a partire dalla percentuale degli organici funzionali.

La formazione dei docenti deve essere garantita e obbligatoria durante tutto il percorso lavorativo, attraverso le unità territoriali di supporto pedagogico-didattico. La formazione, come sappiamo, inizia dalla nascita e le famiglie italiane, ed in particolare le donne gravate dal doppio compito del lavoro e della cura, necessitano con urgenza di nuovi nidi pubblici, che garantiscano un numero di posti pari almeno al 30% dei bambini fino a tre anni. La scuola deve formare alla vita: recuperiamo le ore sottratte da Gelmini e lavoriamo per l’unificazione dei cicli liceali e tecnico-professionali, investendo maggiormente nella materie professionalizzanti. È così che la scuola potrà esercitare un ruolo preminente nell’organizzazione della società, della produzione e della formazione delle generazioni. La qualità delle nostra scuola va costantemente valutata e misurata. Per questo intendiamo istituire un percorso di valutazione complessivo del sistema scolastico, così da verificarne l’adeguatezza e la rispondenza alle necessità espresse dagli studenti e dai cambiamenti sociali e culturali in atto. La valutazione verrà affidata ad un ente autonomo, non di diretta nomina ministeriale, dovrà avere finalità compensative e di supporto alle realtà scolastiche in difficoltà, e utilizzerà modalità statistiche con indicatori e parametri misurabili e quantificabili. La valutazione coinvolgerà il Consiglio di Istituto e il Collegio dei Docenti.

Ma la scuola è anche degli studenti, mentre oggi il diritto allo studio è fortemente messo in discussione dall’aumento delle tasse, dai costi non più sostenibili delle famiglie per l’acquisto dei libri di testo e del materiale scolastico, dall’erosione delle borse di studio. Vanno messe in campo con urgenza le risorse necessarie a garantire le borse di studio, forme di reddito indiretto come la mobilità gratuita per gli studenti, e strumenti fiscali come la deducibilità delle spese per la scuola.

Università e ricerca devono essere considerati beni pubblici essenziali, mentre nel corso di questi anni l’una e l’altra sono state sistematicamente indebolite e messe sotto controllo le istituzioni pubbliche dedicate all’alta formazione con i tagli ai finanziamenti, con l’impoverimento del personale e il blocco del turnover, con la revisione in senso autoritario degli statuti, con meccanismi mortificanti contro i precari. Gruppi di potere interni sono stati consolidati, si è limitato l’accesso alla formazione con il forte aumento delle tasse, si è spostato il potere degli organi di indirizzo scientifico e politico democraticamente eletti (come il Senato accademico e il Consiglio scientifico) ad organi di mera gestione economica. Le nuove norme di pseudo valutazione introdotte dal Governo Monti, fondate sulla retorica della meritocrazia e lo strumento della indicizzazione bibliometrica per orientare la carriera e gli studi dell’accademia, finiscono per dare più valore alle pubblicazione su riviste hanno posizioni liberiste (come in economia e nella materie giuridiche), mortificando così il pensiero autonomo ed indipendente a favore di quello unico. E si sono in tal modo dischiude le porte del mercato al business della formazione privata, indirizzando il Paese verso uno sviluppo basato su un lavoro scarsamente qualificato, sottopagato e ricattabile in quanto facilmente sostituibile. Invertire subito la rotta significa garantire la possibilità di formazione a tutti, cancellando il numero chiuso come metodo di accesso all’università. Significa rifinanziare l’intero sistema di diritto allo studio, sia per le borse di studio, in particolare per gli studenti di dottorato il finanziamento deve essere sempre garantito, sia per le residenze studentesche, e parte delle risorse possono essere reperite da coloro che ne hanno beneficiato eludendo fin qui il fisco.

Vanno definiti i livelli essenziali di prestazioni, prendendo ad esempio i migliori esempi regionali, a cominciare da quello pugliese, garantendo a monte la copertura totale degli idonei. Bisognerà svincolare la possibilità di ottenimento della borsa di studio dalla sede universitaria prescelta, la contribuzione studentesca deve essere progressiva in base alle condizioni economiche e patrimoniali, senza penalizzare gli studenti fuori corso, part-time e lavoratori. Va garantito il rispetto effettivo del vincolo di legge del tetto del 20% di contribuzione studentesca rispetto al fondo di investimento ordinario e vanno potenziati tutti i programmi di formazione presso altre università europee.

Occorre ripristinare un livello minimo e certo di finanziamento dell’università e della ricerca. Il finanziamento ordinario, di lungo termine, deve essere utilizzato per il funzionamento delle strutture, la ricerca, i servizi essenziali per gli studenti. Nell’immediato è necessario eliminare il blocco del turnover, recentemente inasprito dalla spending review. I fondi resi disponibili dal pensionamento andranno utilizzati, per una quota del 50%, per un piano straordinario per l’immissione in ruolo di ricercatori a tempo determinato attraverso uno speciale programma di assunzione. La quasi totale assenza di finanziamenti privati nella ricerca, in particolare quella sviluppata in proprio, è un fattore penalizzante per tutto il sistema e ciò comporta l’incapacità da parte delle imprese di assorbire figure a qualifica più alta, come ad esempio i dottorati. Ecco allora che bisogna favorire la creazione di spin-off dalla ricerca pubblica, semplificare le start-up, puntare a progetti di finanziamento di consorzi misti pubblico/privato con un sostanziale cofinanziamento da parte del privato e garantire agevolazioni fiscali per la promozione degli investimenti dei privati in una ricerca di qualità.

È fuori di dubbio che l’università con il “sistema del 3 più 2 si è licealizzata, chiudendosi in una netta divisione dei saperi che l’ha condotta a specialisti e microspecialismi, buoni solo per garantire cattedre e rendite assicurate al sistema di gestione attuale. Invece l’università deve essere l’istituzione del sapere complesso, deve mettere in campo strategie che non seguano il mercato del lavoro italiano, lo stesso che in questi anni ha rifiutato giovani formati e specializzati, ma piuttosto che costituiscano a svecchiarlo, puntando sulla innovazione e la creatività.

L’emanazione di un testo unico su università e ricerca può fare ordine dentro il confuso quadro normativo attuale e modificare gli aspetti più deleteri delle ultime controriforme. Bisognerà dare potere agli organi democraticamente eletti, ampliandone al contempo la base estendendo il potere elettivo al personale con contratto a termine. Occorre garantire la trasparenza nella gestione dei fondi, sia nell’assegnazione che nei concorsi. Puntiamo per questo al ruolo unico della docenza e della ricerca, garantendo ai ricercatori assunti con contratti a termine di concorrere direttamente per l’assegnazione di fondi legati a progetti. Vanno infine aperte le commissioni valutatrici a tutti i ruoli.

Il liberismo ha contagiato gli istituti di formazione e tutta la pubblica amministrazione raccontando la favola del modello aziendale come quello funzionale e vincente su tutto. Di fatto si sono semplicemente privatizzate le istituzioni del sapere, tanto nella governance quanto nella valutazione. Ed invece valutare università e ricerca è un punto fondamentale per garantire sia il giusto livello dei servizi, sia per migliorare la didattica. L’ANVUR manca dell’indipendenza necessaria ad una corretta valutazione, come manca di equità nel considerare i differenti ambiti disciplinari e di apertura verso lo stesso mondo della ricerca. I suoi costi, inoltre, sono stati sin qui esorbitanti e assolutamente ingiustificati. La valutazione va dunque ripensata, nei criteri e negli scopi, così da essere indipendente, equa, inclusiva, garantendo all’insieme della comunità scientifica la possibilità di partecipazione e rendendo pubblici i criteri di valutazione, nonché accessibili i risultati. Essa potrà in tal modo identificare e correggere le criticità del sistema universitario e della ricerca italiana, aprendosi agli studenti alla società in generale, scongiurando il rischio di autoreferenzialità. Essa deve partire dal sistema nel suo complesso, poi riguardare le strutture e infine le persone nei loro ruoli decisionali. Deve tenere in considerazione le specificità, premiando che con poche risorse e con eticità professionale riesce a produrre buoni risultati.

I beni culturali

I beni artistici e culturali italiani sono ammalati quasi terminali di burocrazia e d'inedia degli enti pubblici. Incuria, mancato rispetto per la storia antica e moderna, disinteresse diffuso per l’importanza della traccia storica nel passaggio del tempo sono sintomi di un Paese che si perde ogni giorno di più.

I beni artistici e culturali italiani sono ammalati quasi terminali di burocrazia e d’inedia degli enti pubblici. Incuria, mancato rispetto per la storia antica e moderna, disinteresse diffuso per l’importanza della traccia storica nel passaggio del tempo sono sintomi di un Paese che si perde ogni giorno di più.

Per questo noi pensiamo sia necessario: snellire le norme in materia di appalti per restauro, manutenzione e rilancio dei beni artistici e culturali; Introdurre una normativa chiara e puntuale sulle sponsorizzazioni per rendere appetibili e trasparenti i bandi e consentire la defiscalizzazione per gli investitori privati nel settore; Rendere le sovrintendenze strumenti efficienti di effettiva tutela e valorizzazione e non di mera e spesso cieca conservazione; Rivoltare la logica secondo la quale i fondi pubblici rappresentano una voce di spesa e non, invece, d’investimento nel futuro; Valorizzare, fare emergere dalla precarietà e formare le innumerevoli risorse di addetti al settore: archivisti, archeologi, addetti museali, giovani manager culturali sono alcune delle decine di migliaia di professionalità di cui l’Italia ha bisogno. Oppure è meglio chiuderlo questo Paese.

Le culture

Se vogliamo che il futuro non sia lasciato al caso o diventi un qualcosa di cui avere paura è necessario tornare a credere nel valore delle idee. Le idee sono la causa di tutto ciò che ci circonda e la cultura è la loro unione.

Se vogliamo che il futuro non sia lasciato al caso o diventi un qualcosa di cui avere paura è necessario tornare a credere nel valore delle idee. Le idee sono la causa di tutto ciò che ci circonda e la cultura è la loro unione.

In Italia esistono 4.340 musei, 46.025 beni architettonici vincolati, 12.375 biblioteche, 34.000 luoghi di spettacolo, 47 siti UNESCO, l’Italia è il paese col maggior numero di siti protetti dall’UNESCO nel mondo ed Ercolano è uno di questi. A fronte di questo enorme patrimonio, l’investimento pubblico annuo destinato alla Cultura è di 1,42 miliardi di euro, pari allo 0,19% del bilancio statale (0,11% del PIL).

L’investimento pubblico in cultura è necessario perché il mercato non investe dove non ci sono margini immediati. Lo dobbiamo a noi stessi e alle generazioni che verranno. Investire in cultura, tanto più nei momenti di crisi economica, salva il Paese dal degrado morale e dalla deriva economicista, perché cultura significa innovazione e creatività. Innovare per allargare la base produttiva, creando ricchezza da redistribuire. Sono infinite, a pensarci bene, le possibilità di investire per i privati nelle applicazioni delle nuove tecnologie e della produzione culturale. Perché anche le imprese hanno compreso che l’unico modo per farcela è dare all’Italia una vocazione “glocale”, che faccia leva sulla ricchezza del patrimonio storico, ambientale, architettonico, artistico, paesaggistico, trasformandolo in fattore di conoscenza, competenza e promozione della propria unicità nel mondo.

Se vogliamo che il futuro non sia lasciato al caso o diventi un qualcosa di cui avere paura è necessario tornare a credere nel valore delle idee. Le idee sono la causa di tutto ciò che ci circonda e la cultura è la loro unione. Oggi l’Italia non considera il sapere e la conoscenza come un bene comune, necessario al progresso e al benessere di tutti. Al contrario dobbiamo fare in modo che gli italiani tornino a respirare la bellezza, a desiderare di essere amati nel mondo per il loro cinema, per una tv di qualità, per una letteratura capace di esportare sapere e valori universali.

C’è un’Italia che non si vede ma che vive nella realtà di internet e nel luogo possibile della Rete in cui un numero indefinito di persone dialoga, si scambiano esperienze facilitando la conoscenza e la naturale predisposizione dell’essere umano all’empatia. La Rete consente l’estensione delle capacità delle donne e degli uomini e preme per l’attuazione di forme di democrazia partecipata, in cui ognuno è chiamato al proprio compito di cittadino del mondo. E la politica, le Istituzioni, cosa possono fare per sviluppare queste occasioni, garantendo profitti per le imprese e buoni salari per i lavoratori, arricchimento culturale per i cittadini, rispetto per l’estetica, democrazia. La politica deve, innanzitutto, schiarire il campo dai fumi della distrazione di massa, stimolando la creatività e non la piatta comunicazione unidirezionale, moltiplicando i luoghi di partecipazione collettiva al lavoro creativo, tramite, ad esempio, il co-working (lavoro indipendente ad ambiente condiviso).

Gli occupati nel settore artistico-culturale sono 585.000, che salgono a oltre 1,4 milioni considerando l’intero comparto della “industria culturale e creativa”. Per tutti questi motivi noi introdurremo il “Ministero per la creatività”, cancellando il Mibac e con l’accorpamento di tutte le deleghe oggi sperse nei mille rivoli di altrettanti ministeri, per uscire dalla trappola della sola conservazione dei beni culturali ai fini della promozione turistica e introdurre l’idea d’industria creativa. L’insieme, cioè, di originalità, etica, cultura, estetica e identità che vanno favoriti in ogni processo produttivo e istituzionale. È un cambiamento possibile, basta iniziarlo. Basta ricordare, infatti, che il 3% dei lavoratori europei – circa 7 milioni di addetti – sono impegnati in un’attività creativa o culturale.

L’editoria

L’educazione alla lettura non può prescindere dal confronto con i nuovi strumenti e con la società dei consumi. È tuttavia necessario utilizzare i nuovi strumenti in maniera più consapevole, evitandone le trappole implicite: banalizzazione o omologazione del giudizio, mancanza di prospettiva storica e appiattimento dei valori. Ripensare il rapporto tra libri, autori, pubblico, editoria, distribuzione, mercato. Ognuno di questi anelli della catena ha varie e grandi difficoltà che ricadono sul lettore disorientato tra le vendite online, la ricerca degli sconti, la pubblicità martellante, il protagonismo televisivo, la quantità enorme di libri sul mercato, le scarse risorse a disposizione, eppure mai come in questi anni registriamo forte la voglia di leggere, di ascoltare, partecipare.

È necessario pertanto: Promuovere l’imprenditorialità diffusa, favorire gli editori puri, la cultura d’impresa e di management allo scopo di aiutare l’emersione di un nuovo pubblico per nuove imprese e nuovi contenuti; Democratizzare l’accesso alle fonti culturali, rendendo diffuse le attività di formazione attraverso la promozione di una collaborazione più intensa, sistematica e ampia tra le arti, le istituzioni accademiche e scientifiche e le sinergie pubblico-privato.

Ispirandoci ad uno speciale esperimento avviato in alcune prigioni del Brasile dalla presidente Dilma Rousseff, proponiamo una legge che perfezioni l’equivalenza universale tra i libri e la libertà. La proposta consiste nel ridurre di quattro giorni la pena per ogni libro letto dai detenuti per un massimo di 48 ogni anno. Ogni detenuto potrà leggere un libro al mese di letteratura, filosofia o scienza e farne una relazione scritta per dimostrare di averlo compreso. In Italia sono allestite 153 biblioteche su 206 istituti di pena nei quali abitano 68mila detenuti. Sarebbe una straordinaria novità se, anche in Italia, l’opportunità di leggere si trasformasse in redenzione attraverso la lettura proprio come in Brasile.

Ripensare al ruolo delle biblioteche investendo in progetti di riqualificazione, ampliamento, riconversione o costruzione ex novo di edifici e biblioteche per rilanciarne il ruolo e la centralità culturale e sociale. Ciò anche attraverso l’implementazione di nuovi servizi digitali per il pubblico, la trasformazione e l’attrattività degli spazi dedicati, la costruzione di servizi e relazioni culturali con l’utenza anche tramite il web e i sistemi di catalogazione integrata in rete.

La musica

Il patrimonio musicale italiano va considerato come un vero e proprio sistema composto da artisti, case discografiche, produttori, distributori, organizzatori e istituzioni, come accade da molti anni in altri paesi europei. Un sistema musicale basato sulla valorizzazione sostenibile delle risorse materiali e immateriali del Paese, che coinvolga sia la sfera artistica e culturale, sia la capacità imprenditoriale ed organizzativa dei soggetti produttivi.

Vogliamo realizzare:

– Un articolato intervento legislativo per potenziare e consolidare la presenza e la competitività del “Sistema Musicale Italia” nei mercati nazionali ed esteri;

– riconoscere la produzione discografica come bene culturale e non di lusso, ponendo in sede EU la riduzione dell’iva al 4% al pari ad esempio delle produzioni letterarie;

– Aumentare la quantità e la qualità degli spazi per la musica dal vivo con incentivi che favoriscano la realizzazione, su scala urbana o metropolitana, di strutture adeguate come il Parco della Musica di Roma, il Barbican Center di Londra o la Cité de la Musique di Parigi;

– Istituire un fondo per la ricerca e lo sviluppo dedicato ai giovani talenti con incentivi premianti per la loro programmazione su radio/tv;

– Inserire nei programmi di promozione del Made in Italy anche il prodotto musicale, attraverso la partecipazione a fiere, eventi internazionali ecc.

– Innovazione tecnologica del sistema musicale con strumenti finanziari e legislativi mirati alle imprese che intendano investire nel passaggio al digitale e innovare il prodotto culturale;

– integrante dei programmi didattici facendo della musica uno dei pilastri della formazione e creando un fondo per facilitare l’acquisto di strumenti musicali per i più giovani.

L’audiovisivo

Oggi viviamo immersi nel mondo delle immagini e della rete, pertanto per permettere ai nostri ragazzi di orientarsi e di apprendere altre lingue, dobbiamo passare dalla nozione di cinema a quella più europea di audiovisivo (cinema, tv, prodotti crossmediali).

Preliminare, a qualunque discorso sull’audiovisivo, sarà il varo di una seria normativa antitrust che disciplinerà la materia del conflitto di interessi in tutti campi economici, non solo l’audiovisivo. La nostra legge affermerà che nessun operatore economico, pubblico o privato, possa detenere complessivamente quote superiori al 20% di un trust orizzontale o verticale.

Nelle scuole di ogni ordine e grado introdurremo lo studio obbligatorio dei linguaggi audiovisivi. L’obiettivo è di incrementare il numero di biglietti di cinema staccati in un anno, portandoli in 5 anni da 120 a 200 milioni.

La Rai deve rimanere pubblica e occuparsi di informare, educare e innovare linguaggi favorendo lo sviluppo di un vero mercato concorrenziale di produttori indipendenti. Essa va liberata dai partiti, abolendo la Legge Gasparri e la proposta che noi sposiamo è quella di MoveOn:

a. La Rai è di proprietà dello Stato e le fonti di nomina del CdA, per un massimo di cinque componenti, sono il Parlamento, le Regioni, gli utenti e i lavoratori della Rai. Il Consiglio di Amministrazione della Rai è caratterizzato da una governance duale, composta da un comitato di gestione e un comitato di controllo;

b. Il Contributo al servizio pubblico audiovisivo della Rai va pagato tramite il modello UNICO ogni anno;

c. Favoriremo la programmazione del cinema italiano ed europeo per ciascuna rete generalista e la trasmissione di film in lingua originale con sottotitoli italiani.

L’esercizio cinematografico è centrale in ogni politica del settore. Il cinema, e soprattutto il cinema italiano, vive nella sala e la sala è momento di aggregazione, centro di cultura. Esso va però ammodernato con una maggiore diffusione del digitale (siamo ancora, assurdamente, solo al 50% di schermi digitalizzati). Puntiamo a snellire la catena distributiva e a formare gli esercenti affinché scelgano il prodotto di qualità sul quale applicare particolari condizioni di favore. Una sala cittadina che chiude impoverisce la qualità della vita delle nostre città.

In Italia non esiste un libero mercato dell’audiovisivo: da dieci anni vediamo solo film “made in Rai” o “made in Medusa”. Nell’ottica antitrust, anche la Rai va ridimensionata e orientata alla qualità. La Rai rappresenta tuttora la giustificazione del potere di Mediaset. Senza danneggiare nessun network, vogliamo favorire la concorrenza leale con un sistema di regole. Per cercare di scardinare l’attuale oligopolio è opportuno prevedere seri obblighi d’investimento da parte dei network televisivi. Ad esempio rivolgersi direttamente alle produzioni indipendenti per l’acquisizione dei diritti legati al reale sfruttamento del prodotto audiovisivo così da permettere una reale capitalizzazione delle imprese del settore.

Per favorire lo sviluppo del nostro paese e renderlo attrattivo dobbiamo introdurre le licenze creative commons, sviluppare gli open data e l’uso di software aperto, attrarre le produzioni straniere, sviluppare un mercato dei diritti nazionale che aiuti produttori e registi a realizzare storie universali, in tale ottica cercare cooperazioni rafforzate all’interno dell’Europa, anche con la creazione di fondi specifici che favoriscano i progetti transnazionali e le coproduzioni. Inoltre istituiremo il Centro nazionale per l’Audiovisivo (CNA) finanziato da una tassa di scopo integrale su tutta la filiera che si occupi di erogare risorse e costruire un sistema nazionale come fanno oggi le migliori film commission sui territori, oltre che di promuovere il nostro prodotto nazionale.

Il sistema dello spettacolo dal vivo

Il sistema dello spettacolo dal vivo (teatro, danza, musica) attende una Legge quadro nazionale. Nel mondo del lavoro e nei consumi culturali, manca una visione del futuro adeguata ai mutamenti che da anni attraversano la creazione artistica e l’offerta di servizio culturale. Per questo è urgente una Legge quadro che, applicando il dettato costituzionale dell’art.117, stabilisca:

– che il Fondo Unico per lo Spettacolo assuma il carattere di fondo di investimento pluriennale;

– le competenze concorrenti fra Stato e Regioni, introducendo strumenti di concertazione istituzionale (quali accordi di programma e convenzioni) per il sostegno statale e regionale dei soggetti e delle attività;

– nuovi indicatori e parametri per rimuovere gli ostacoli normativi che da oltre un decennio, mentre confermano “rendite di posizione” non più giustificate di soggetti e attività che ha esaurito il proprio ruolo, impediscono il ricambio generazionale, artistico e organizzativo;

– la concreta attuazione del riconoscimento, operato dall’art. 51-bis del Decreto Legge n.83/2012, dello status di micro, piccola e media impresa agli organismi dello spettacolo dal vivo;

– tuteli i lavoratori dello spettacolo in materia di contributi, salari e stagionalità del loro lavoro;

– ristrutturi la governance dei fondi pubblici per lo spettacolo che sono oggi erogati in modo assai discutibile;

– favorire in ogni modo le cooperative e le compagnie che aggregano talenti e investimenti anche estendendo il tax credit per investitori esterni alla filiera.

I diritti della persona

L'Italia è un paese in cui c'è il "problema" degli omosessuali, il "problema" delle coppie non sposate, il "problema" del fine vita, il "problema" della procreazione assistita. Vogliamo sostituire la parola problema con libertà. Vogliamo un paese in cui i diritti siano interi e non dimezzati dai pregiudizi.

L’Italia è un paese in cui c’è il “problema” degli omosessuali, il “problema” delle coppie non sposate, il “problema” del fine vita, il “problema” della procreazione assistita. Vogliamo sostituire la parola problema con libertà. Vogliamo un paese in cui i diritti siano interi e non dimezzati dai pregiudizi.

Il progresso dell’Italia è cresciuto grazie alle grandi conquiste di civiltà e di libertà. Eravamo il paese del delitto d’onore e delle mammane, fino a quando uno straordinario movimento di donne rivoluzionò il concetto di morale e consentì che si approvassero leggi, poi confermate dalle vittorie referendarie, che riconobbero il diritto al divorzio e all’aborto. Eravamo il paese della segregazione manicomiale, fino a quando Franco Basaglia e un cavallo di cartapesta di nome Marco sfondarono il muro dell’ignoranza e consentirono l’introduzione della legge 180, la più avanzata al mondo. L’Italia, con quelle conquiste, divenne un paese d’avanguardia per i diritti civili, che fondarono l’idea stessa di cittadinanza nel nostro Paese. Poi venne la lunga stagione del conservatorismo, opaco ed ipocrita, quello che ogni giorno cerca di riportarci indietro, com’è segno l’esplosione dell’obiezione di coscienza tra i ginecologi e la campagna omofoba per impedire il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali. Noi vogliamo vivere in un paese in cui i diritti civili siano interi, non dimezzati da pregiudizi. Siamo l’unico paese in Europa in cui la “libertà di coscienza”, in particolare quella ipocrita dei legislatori, è diventata lo strumento di alcuni per impedire la libertà di altri.

Per noi, la sinistra, scegliere il primato della laicità e della libertà degli individui è un fondamento della propria identità politica e civile. La stessa Unione europeo, e non solo quella progressista, ha segnalato spesso all’Italia la necessità di adeguare con urgenza la propria legislazione. Per questo consideriamo fondamentale che, al pari dei diritti sociali e ambientali, vengano introdotte in Italia leggi che ci riportino tra i paesi più avanzati per i diritti di libertà. La nostra prima proposta consiste nell’abolizione della pessima legge Bossi-Fini e le leggi successive che hanno peggiorato sempre più la condizione dei migranti, violando fondamentali diritti umani, come quello che ha istituito il reato di clandestinità. Vogliamo abolire i Cie e cancellare i vergognosi accordi con la Libia; vogliamo che sia scritta la legge sui diritti di asilo, attuando in tal modo l’articolo 10 della Costituzione. Vogliamo che i bambini migranti nati in Italia divengano cittadini italiani e che siano più brevi i tempi per l’ottenimento della cittadinanza. Vogliamo che sia introdotto il permesso di soggiorno per cercare lavoro e che siano garantiti i diritti dei migranti con permesso di soggiorno, a partire dal pieno esercizio di voto per le elezioni amministrative. Vogliamo una legge che riconosca la cultura e i diritti delle popolazioni Rom e Sinti. Perché per far crescere l’Italia occorre sconfiggere la cultura xenofoba.

Insostenibile è diventata nel nostro Paese la situazione dei detenuti: il sovraffollamento, la mancanza di tutele sanitarie adeguate, la crescita degli atti di autolesionismo impongono di ricondurre ai principi costituzionali la privazione della libertà personale. La pena deve tendere alla rieducazione e al reinserimento sociale, L’intero sistema giudiziario deve evitare che si protraggano oltre ogni ragionevolezza i tempi di detenzione dei detenuti in attesa di giudizio, in gran parte poveri e migranti, spesso privi di mezzi per garantirsi adeguate difese. Non vogliamo nuove carceri ma misure alternative ed efficaci per ridurre l’impatto delle azioni criminali. La civiltà di un paese si misura in primo luogo dal livello di civiltà delle sue carceri. In tal senso sarà anche nostro impegno quello di abolire le leggi “riempi carceri”, dalla Bossi-Fini contro i migranti alla Fini-Giovanardi contro i tossicodipendenti, espressioni entrambe di una cultura securitaria che oltre ad offendere la dignità delle persone, sortisce effetti criminogeni. La cultura proibizionista, incarnata dalla Fini-Giovanardi è una finzione inutile e pericolosa che produce solo un consumo illegale e incontrollato di sostanze. Per questo intendiamo proporre una legislazione che sia rispettosa dei diritti di scelta delle persone e che contribuisca a perseguire duramente le organizzazioni criminali. Proponiamo di estendere ai reati di omofobia e transfobia la Legge Mancino, strumento giuridico italiano per sanzionare, sia sul piano giuridico sia su quello morale, i crimini dell’odio.

Anche la triste vicenda di Eluana Englaro ha fatto emergere la necessità di colmare un vuoto legislativo importante: il diritto di ogni essere umano a decidere della propria vita. È indispensabile una legge che stabilisca con norme chiare ed efficaci le condizioni del rapporto tra il paziente e il suo diritto a ricevere delle cure, per garantire davvero la piena libertà dell’individuo fino all’ultimo giorno della sua esistenza. I limiti dell’attuale Legge 40 sono continuamente confermati dai tanti ricorsi vinti dalle coppie che fanno ricorso ai tribunali per vedersi riconoscere un principio fondamentale di libertà e di giustizia e a seguito di un ricorso di una coppia di cittadini anche la Corte Europea dei Diritti Umani ha bocciato la legge. È dunque necessario scrivere una legge nuova e giusta. La riforma del diritto di famiglia in Italia risale ormai al 1975. Nel frattempo la società è cambiata e alla “famiglia” si sono sostituite “le famiglie” e i molteplici modi di relazionarsi tra le persone. Le relazioni sono alla base della società moderna, esse vanno regolate con attenzione e delicatezza. Un’urgente riforma del diritto di famiglia dovrà riguardare: il divorzio breve, un modo nuovo di regolare la genitorialità, la tutela dei soggetti deboli all’interno delle coppie. Così potremo, finalmente, colmare quel vuoto che ostacola le nostre relazioni.

Il numero di coppie che scelgono di costruire una famiglia rinunciando al matrimonio è in costante aumento: le famiglie “di fatto” sono una realtà sociale importante e consolidata, non più marginale. Queste coppie hanno diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata. Bisogna per questo equiparare le famiglie di fatto ai coniugi in materia di successioni, di diritto al lavoro, di disciplina fiscale e previdenza. Le coppie omosessuali devono avere gli stessi diritti e doveri delle coppie eterosessuali. Il primo riconoscimento di questi diritti passa dall’ estensione del matrimonio civile anche alle coppie omosessuali. Le coppie di persone omosessuali devono veder riconosciuto il diritto all’omogenitorialità, ovvero al legame, di diritto o di fatto, con uno o più bambini, sia figli biologici sia adottati.

Il diritto alla salute

La salute è un diritto tutelato dalla nostra Costituzione per questo dev'essere garantito da un sistema sanitario nazionale pubblico e universalistico. Noi difendiamo questo principio e contrastiamo i tagli alla spesa sanitaria. Vogliamo una sanità di qualità per tutti, ricchi e poveri.

La salute è un diritto tutelato dalla nostra Costituzione per questo dev’essere garantito da un sistema sanitario nazionale pubblico e universalistico. Noi difendiamo questo principio e contrastiamo i tagli alla spesa sanitaria. Vogliamo una sanità di qualità per tutti, ricchi e poveri La salute è un diritto tutelato dalla nostra Costituzione ed è un interesse della collettività.

Per questo dev’essere garantito da un sistema sanitario nazionale pubblico e universalistico, sostenuto dalla fiscalità generale. Noi difendiamo questo principio e contrastiamo i tagli alla spesa sanitaria. Proponiamo una riduzione e rimodulazione dei tickets secondo criteri di maggiore equità basati sul reddito e sulla gravità della malattia.

Vogliamo una sanità di qualità per tutti, ricchi e poveri, pertanto siamo contrari alla proposta dei governi di centrodestra (prima Sacconi e dopo Monti) di incentivare il ricorso alle assicurazioni individuali o collettive per ridurre la spesa sanitaria pubblica. Siamo contrari per due validi motivi: perché in questo modo il diritto alla salute non sarebbe esigibile da tutti in eguale misura e perché non condividiamo l’allarme lanciato sulla presunta insostenibilità economica del sistema sanitario nazionale. Il livello attuale di spesa sanitaria italiana resta in linea con quello medio dei principali paesi occidentali, ma al di sotto di quanto spendono francesi e tedeschi. I maggiori esperti di economia del welfare ritengono che la spesa pubblica non costituisca una minaccia per l’equilibrio del bilancio nazionale.

I tagli lineari alla spesa sanitaria operati in questi anni e previsti per quelli futuri (30 miliardi di euro in meno nel periodo 2011-2015) non hanno prodotto una maggiore efficienza ma solo riduzione di servizi e maggiori costi per il singolo cittadino. Con l’incremento dei tickets, ad esempio, già oggi si stima che il 55% delle visite ambulatoriali siano pagate privatamente. Il nostro obiettivo non è dunque ridurre la spesa sanitaria bensì stabilizzarla, razionalizzarla, renderla più efficace, cioè maggiormente capace di produrre salute. Questo obiettivo fondamentale si raggiunge agendo su tre livelli: determinanti generali di salute come inquinamento, ambiente di vita e di lavoro, assetto urbano, stress; organizzazione della sanità territoriale; rete ospedaliera. Per questo occorrono azioni che vanno nella direzione di: investire maggiormente sulla prevenzione collettiva della sicurezza alimentare alla salute e della sicurezza dei lavoratori; potenziare i servizi sul territorio coordinando il lavoro dei medici di famiglia con quello dei medici e degli specialisti ospedalieri tramite strutture come le case della salute (proponiamo di realizzarne minimo una per ogni distretto) e rafforzando i servizi di salute mentale e quelli per la salute delle donne. I comuni dovranno essere il punto di riferimento fondamentale per la programmazione, la gestione, l’erogazione dei servizi sanitari. Bisogna inoltre riorganizzare l’intera rete ospedaliera, non solo per mezzo della riduzione dei posti letto che va sempre compensata dall’aumento dei servizi territoriali e comunque non può andare oltre la dotazione di 3,5 posti per ogni mille abitanti, ma concentrando gli investimenti necessari e moltiplicando le possibilità di diagnostica e di terapia domiciliare. Per quanto riguarda il sistema di governo del servizio sanitario nazionale proponiamo di: superare l’aziendalizzazione delle ASL che ha prodotto una prevalenza degli obiettivi economici su quelli della salute; separare nettamente la spesa pubblica da quella privata nella sanità, per esempio impedendo il doppio rapporto di lavoro con strutture pubbliche e private e rivedendo anche le regole per l’esercizio di attività privata nelle strutture pubbliche; ridefinire i criteri di nomina dei direttori generali delle ASL e dei primari per renderli più trasparenti e non più sottoposti al potere politico; contrastare la generalizzazione dei rapporti di lavoro precario, che non hanno prodotto risparmi ma piuttosto demotivazione degli operatori e minore qualità della prestazione; promuovere una partecipazione degli operatori e dei cittadini alle scelte organizzative.

Il diritto alla mobilità

Nell'era del villaggio globale l'Italia è chiamata a giocare un ruolo importante nel ridisegnarsi delle mappe dei trasporti e della mobilità. Il settore dei trasporti e della mobilità sostenibile è cruciale nella sfida per la modernizzazione del Paese e la riconversione ecologica, non solo per le ricadute ambientali, ma per l'impatto determinante sulla qualità della vita di ogni singola persona.

Nell’era del villaggio globale l’Italia è chiamata a giocare un ruolo importante nel ridisegnarsi delle mappe dei trasporti e della mobilità. Invece proprio in questo settore sconta un deficit strutturale. Il settore dei trasporti e della mobilità sostenibile è cruciale nella sfida per la modernizzazione del Paese e la riconversione ecologica, non solo per le ricadute ambientali, ma per l’impatto determinante sulla qualità della vita di ogni singola persona.

Trasporti e mobilità sostenibile sono aspetti cruciali della nostra proposta di riconversione ecologica. Per le ricadute immediate in termini di emissioni clima alteranti e per l’impatto sulla qualità della vita di ogni singola persona, nonché su quella del territorio urbano e delle nostre città. Per noi valorizzare il trasporto pubblico vuol dire offrire una risposta concreta alla crisi in corso. Partiamo da una situazione nella quale il settore dei trasporti, quello pubblico in particolare, affianca al suo storico deficit strutturale gli arretramenti arrecati dai tagli che si sono susseguiti in questi ultimi anni, tra leggi finanziarie e patti di stabilità che lo hanno praticamente azzerato. Inoltre, le privatizzazioni delle più importanti aziende di trasporto pubblico hanno finito per peggiorare sia il rapporto tra tariffe e qualità, sia la distribuzione geografica dei servizi offerti. Basti pensare a Trenitalia e al taglio dei treni, concentrato particolarmente al Sud, e ha portato all’eliminazione di molti treni, in specie notturni ed economici, nord-sud e viceversa.

La sfida della mobilità sostenibile si gioca principalmente nelle grandi aree urbane, dove si concentrano i 2/3 della domanda degli spostamenti. Occorrono politiche di mobilità urbana sostenibile che si attuano investendo in finanziamenti mirati allo sviluppo di politiche di mobility management; rifinanziando la legge (211/92) per il trasporto rapido di massa; aumentando gli spostamenti sul trasporto pubblico urbano almeno del 30%; mettendo a disposizione biciclette per uffici pubblici, studenti, aziende; promuovendo (con una legge ordinaria nazionale) i servizi innovativi di mobilità come i taxi collettivi e il bus a chiamata, il car-sharing e il car-pooling, la mobilità ciclistica e pedonale in ambito urbano; realizzando nuove linee di metropolitana e del servizio ferroviario pendolare; pianificando parcheggi di scambi periferici alla città per persone e merci; puntando ad una riconversione del parco mezzi (auto e bus) da benzina e gasolio a biocarburanti; promuovendo una legge quadro sui trasporti e i tempi delle città che armonizzi i mezzi di trasporto con scuole, aziende, uffici pubblici con i tempi delle donne.

Occorre un piano per spostare su rotaie almeno il 15% del traffico merci, e ri-orientare il sistema degli incentivi, oggi quasi esclusivamente concentrato sull’autotrasporto su gomma, verso il ferro, il cabotaggio costiero, i sistemi integrati ed intermodali. Così come occorre incrementare il trasporto pendolare attraverso il ripristino e l’aumento delle risorse per il trasporto pubblico regionale con l’acquisto di almeno mille nuovi treni per i pendolari.

Bisogna inoltre attuare politiche per la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori e di chi viaggia attraverso un’accurata opera di manutenzione dei sistemi di sicurezza ferroviari. Noi intendiamo risolvere l’annoso problema della carenza di reti ferroviarie al Sud, a cominciare dalla Bari-Napoli e al collegamento sud-nord e viceversa con la dorsale adriatica, rinunciando alle opere faraoniche e di grave impatto ambientale oltre che di scarsa utilità come la Torino-Lione e il Ponte sullo Stretto.

Sarà necessario coordinare e armonizzare il ruolo dei porti italiani, con una seria pianificazione dei porti e delle loro funzioni, migliorandone l’accesso attraverso adeguati collegamenti con altri mezzi di trasporto. Le auto tradizionali devono cedere il passo a vetture alimentate da energie alternative e questa può essere una buona occasione occupazionale e di freno ai licenziamenti nelle varie industrie. Occorre recuperare le innumerevoli competenze in cassa integrazione dando loro una funzione verso il nuovo mercato occupazionale dell’ibrido e dell’elettrico. Il futuro dell’auto urbana è rappresentato da mezzi piccoli e leggeri in luogo degli attuali in gran parte grandi e pesanti.

La sicurezza stradale è una delle priorità. La crescita esponenziale di incidenti e decessi sulle strade italiane provoca danni e conseguenze legate alla perdita di persone care e accresce i costi sociali che ne derivano. Per questo vanno promosse campagne nazionali atte ad evitare, ad esempio, la guida in stato di ebbrezza, in collaborazione stretta con l’associazionismo che promuovere queste finalità e con le forze dell’ordine.

Il diritto alla qualità urbana: le smart cities

In Italia si consumano giornalmente più di cento ettari di suolo al giorno, è in aumento il fenomeno degli sprofondamenti nei centri urbani, altro indicatore della fragilità delle nostre città. Per trasformare le città e promuovere l'innovazione è necessario investire sulla centralità delle Smart Cities o Città intelligenti, promuovendo processi partecipativi.

In Italia si consumano giornalmente più di cento ettari di suolo al giorno, è in aumento il fenomeno degli sprofondamenti nei centri urbani, altro indicatore della fragilità delle nostre città. Per trasformare le città e promuovere l’innovazione è necessario investire sulla centralità delle Smart Cities o Città intelligenti, promuovendo processi partecipativi.

Per trasformare le nostre città, renderle vivibili nella quotidianità, è necessario investire sulla centralità delle Smart Cities, come del resto chiede da oltre 10 anni l’Unione europea. Una città è smart se viene amministrata con una visione sistemica del governo del proprio territorio e se si promuovono i processi partecipativi dei cittadini partendo dall’idea che una città è intelligente se promuove le opportunità offerte da una tecnologia effettivamente rivolta al servizio del cittadino e della città, per migliorare la qualità dell’abitare e del vivere. È improrogabile intraprendere una transizione verde nello sviluppo urbano, pena il peggioramento della situazione e l’incontrollabilità degli impatti sull’ecosistema.

Abbiamo la necessità di contenere i costi collettivi generati dall’eccessiva dilatazione degli insediamenti e ridurre l’impatto sull’ambiente determinato dalla progressiva sottrazione di suoli agricoli e naturali. Si tratta di immettere risorse per riqualificare il nostro vivere quotidiano, ma anche di una concreta possibilità di rilanciare l’economia e l’occupazione. La riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente è l’elemento essenziale del percorso di rigenerazione urbana: intervenire sul costruito – residenziale e non residenziale – garantendo maggior durata e migliori prestazioni energetiche all’organismo edilizio. In questo ambito sarà sempre più “intelligente” l’edificio che viene realizzato o ristrutturato con sistemi innovativi non solo di efficienza energetica, ma anche di processi progettuali e costruttivi che coinvolgono il mondo professionale e imprenditoriale. U

n aspetto decisivo per il recupero di una qualità delle nostre città è la manutenzione urbana, a partire dal patrimonio edilizio, e poi delle reti impiantistiche, dei sistemi fognanti, delle aree sondabili dei fiumi, a partire da quelli che attraversano le città. Una mole di interventi di manutenzione ordinaria che, se praticata, ridurrebbe l’emergenza, riqualificherebbe il territorio e creerebbe innumerevoli posti di lavoro. Solo mettendo in moto il mercato delle riqualificazioni energetiche degli edifici pubblici si potrebbero creare 30 mila nuovi posti di lavoro. La gestione innovativa e integrata dei rifiuti, rifiutando il modello che pretende di incenerire gli scarti, ma puntando alla differenziata integrale porta a porta; il risanamento del territorio e politiche innovative sull’acqua e i beni comuni, preservando la funzione e la struttura societaria pubblica degli acquedotti, sono un ulteriore elemento della intelligenza delle città. Ce lo chiedono il buon senso e il rispetto del nostro futuro, non solo l’Europa.

Il diritto alla qualità ambientale: i parchi e le biodiversità

Le aree protette non sono solo uno strumento formidabile per la conservazione della biodiversità ma anche un volano per lo sviluppo. La perdita di Parchi comprometterebbe non solo l'equilibrio dell'ecosistema ma sarebbe anche un danno economico. Vogliamo impedire che venga messa in discussione la sopravvivenza stessa del sistema delle aree protette che per noi costituiscono un patrimonio irrinunciabile per la costruzione materiale del paese.

Le aree protette non sono solo uno strumento formidabile per la conservazione della biodiversità ma anche un volano per lo sviluppo. La perdita di Parchi comprometterebbe non solo l’equilibrio dell’ecosistema ma sarebbe anche un danno economico. Vogliamo impedire che venga messa in discussione la sopravvivenza stessa del sistema delle aree protette che per noi costituiscono un patrimonio irrinunciabile per la costruzione materiale del paese.

Aree protette non sono solo uno strumento formidabile per la conservazione della biodiversità, del paesaggio, ma anche volano di uno sviluppo sostenibile delle comunità locali e rurali, occasione di lavoro, di attività e opere eco-compatibili in agricoltura, nella ricezione turistica, nella ristorazione, nel turismo finalizzato alla migliore conoscenza del nostro patrimonio ambientale e culturale. Insomma sono parte essenziale di un Green New Deal che risponda alle vocazioni dei territori ed all’urgenza di assicurarne la tutela. Va infatti sottolineato che la progressiva perdita di questi valori compromette non solo l’equilibrio dell’ecosistema e quindi la stessa sopravvivenza della specie umana, ma rappresenta anche un danno economico, mettendo a repentaglio le attività agricole e le attività connesse alla fruizione turistica.

La situazione del comparto è drammatica: il personale complessivo dei 24 Parchi Nazionali è ridotto a sole 750 unità e con il decreto sulla “spending review” subirà un’ulteriore riduzione del 20%. La riduzione al minimo degli stanziamenti avrà effetti gravissimi e causerà un’ ulteriore perdita di risorse, perché i Parchi non avranno le risorse per partecipare ai progetti comunitari in cofinanziamento. Se ciò non bastasse, il decreto Semplificazioni del governo Monti ha introdotto una norma che consente di edificare opere in aree sottoposte a vincolo se gli Enti preposti alla tutela non si esprimono entro 45 giorni con il conseguente rischio di ulteriore cementificazione selvaggia.

Per impedire che venga messa in discussione la sopravvivenza stessa del sistema delle aree protette, patrimonio irrinunciabile per la costruzione materiale del paese Sinistra Ecologia e Libertà proporrà:

  • l’introduzione di criteri di valutazione della perdita di biodiversità all’interno di indicatori socio-economici;
  • lo stanziamento di finanziamenti certi e organici adeguati per la crescita ed il rafforzamento del sistema delle aree protette;
  • lo svolgimento di una valutazione delle spese già sostenute e dei numerosi finanziamenti erogati e non spesi.

Il diritto di vivere in una società libera: la legalità

La lotta alle mafie e alla corruzione deve diventare una chiave di lettura dei processi sociali e non essere solo un capitolo delle politiche di sicurezza. Essa è parte di un progetto di società che propone una riforma sociale e morale del Paese.

La lotta alle mafie e alla corruzione deve diventare una chiave di lettura dei processi sociali e non essere solo un capitolo delle politiche di sicurezza. Essa è parte di un progetto di società che propone una riforma sociale e morale del Paese.

La lotta alle mafie e alla corruzione è parte essenziale di un grande e forte progetto di ricostruzione dei diritti sociali e delle politiche pubbliche. Trasparenza, legalità, rigore etico sono le condizioni che danno credibilità all’azione delle istituzioni e delle forze politiche e rendono possibile una profonda riforma sociale e morale del Paese. Solo in questo quadro potranno avere efficacia le diverse politiche di sicurezza. Per questo noi poniamo al primo punto del nostro programma sulla legalità il contrasto ai capitali e ai patrimoni dei corrotti e dei mafiosi per un loro riutilizzo sociale. In questo senso raccogliamo e facciamo nostra la proposta avanzata dall’Associazione Libera per un forte rilancio della Legge La Torre e per una effettiva utilizzazione a scopo sociale dei beni confiscati.

Riteniamo del tutto inadeguata l’attuale legge anticorruzione, nella quale mancano i capitoli decisivi del falso in bilancio e dei reati di auto riciclaggio e corruzione tra privati. Per non parlare delle pene previste e dei termini di prescrizione rimasti gli stessi della legislazione precedente e che possono addirittura risultare più favorevoli di prima per i corrotti.

Noi proponiamo di rendere immediatamente pubblica l’anagrafe patrimoniale dei rappresentanti delle istituzioni e il bilancio elettorale delle liste e dei candidati. Le istituzioni dovranno devono essere parte attiva nella lotta ai raket, scegliendo di sostenere le imprese, gli imprenditori e i cittadini che hanno collaborato denunciando estorsori e usurai. Proponiamo la riscrittura dell’articolo 416 ter riguardante il reato di voto di scambio politico mafioso e per tutti i reati di mafia riteniamo che la soglia di incandidabilità debba essere il rinvio a giudizio.

Consideriamo indispensabili la riduzione dei tempi di pagamento delle stazioni appaltanti, il contrasto alla pratica del massimo ribasso, l’istituzione di stazioni uniche appaltanti specializzate e prive della presenza di amministratori pubblici. Un ruolo centrale per il recupero del senso di legalità, per l’apprendimento e il rispetto delle regole del vivere sociale, per il rafforzamento della coesione e il contrasto ai fenomeni di devianza e di marginalità è senz’altro quello della scuola pubblica e dei luoghi della formazione di una coscienza democratica.

Il diritto di vivere in una società giusta

Bisogna abbandonare la logica dell'intervento d'urgenza e realizzare una riforma di sistema che possa garantire, finalmente, una giustizia più efficiente e veloce. Vogliamo dire basta a una giustizia tollerante fino all'impunità per i potenti, spietata per i migranti e gli emarginati.

Bisogna abbandonare la logica dell’intervento d’urgenza e realizzare una riforma di sistema che possa garantire, finalmente, una giustizia più efficiente e veloce. Vogliamo dire basta a una giustizia tollerante fino all’impunità per i potenti, spietata per i migranti e gli emarginati.

Troppe cose non vanno nella Giustizia del nostro paese. I temi sono noti: lunghezza dei processi, eccessi di custodia cautelare, emergenza carceraria, leggi ad personam. Sono temi fondamentali per la tutela dei cittadini e per il rispetto delle garanzie della persona. Occorre abbandonare ogni logica propria dell’intervento d’urgenza e lavorare immediatamente ad una riforma del sistema, il cui primo impegno consista nel recuperare rapporto e fiducia del cittadino, chiudendo il capitolo dell’imposizione di leggi ad personam voluto in questi anni dalla destra all’unico scopo di salvare Silvio Berlusconi dai processi nei quali è stato imputato. Questo ha portato ad un attacco incessante non solo all’autonomia e all’indipendenza della magistratura, ma a tutto l’impianto di garanzie e di bilanciamento tra i poteri che deriva dalla nostra Costituzione. Noi ribadiamo di essere favorevoli ad una più netta separazione delle funzioni e non alla separazione delle carriere in magistratura, per una fondamentale ragione di garanzie dell’intero sistema della nostra giustizia. Garanzie che ci portano anche ad essere fermamente contrari al tentativo di imputare ai giudici una responsabilità risarcitoria diretta, che ne renderebbe più difficile l’esercizio della funzione, e alla limitazione degli strumenti di indagine, a partire dalle intercettazioni. La destra al governo ha imposto, con alcune leggi come la Bossi-Fini e la legge Giovanardi, un modello discriminante di giustizia: tollerante sino all’impunità per i potenti e i privilegiati e spietato e razzista verso gli stranieri e gli emarginati. La spaventosa condizione delle carceri italiane è figlia di questa politica, classista e securitaria, che ha prodotto il degrado degli istituti di pena, con la reclusione dei migranti nei centro di espulsione e la persecuzione dei tossicodipendenti, con la mortificazione dei richiedenti asilo.

Otto anni è ormai la durata media di un procedimento penale e quasi vent’anni quello civile, tempi che determinano forti e giuste sanzioni da parte dell’Unione europea verso il nostro Paese. Quanto ai processi civili, cittadini e imprese, italiane e internazionali, non vedranno mai risolte in tempo utile le proprie controversie, lasciando il Paese arretrato nelle sue strutture economiche.

Una riforma che non può essere ancora rinviata è quella che riguarda l’avvocatura. Essa deve dotarsi di uno Statuto improntato prima di tutto all’etica, al diritto e alla giustizia, ma mai alla concorrenza e alle altre regole del mercato. Punti di forza devono essere l’autonomia e la formazione della figura e della professione dell’avvocato. Servono interventi radicali in materia di difesa d’ufficio e patrocinio per i meno abbienti, dove si registra una clamorosa disparità di condizioni sociali nell’accesso alla giustizia, non degne di un paese civile. Intendiamo intervenire per colmare tutte le vistose lacune, le storture e le contraddizioni della Legge Severino in materia di lotta alla corruzione.

Una svolta radicale serve anche nella situazione carceraria, oggi al collasso. In carcere oggi ancora si muore, i sucidi e gli atti di autolesionismo stanno lì a testimoniare che la fase dell’esecuzione della pena è attuata in condizioni disumane. Occorre limitare il flusso in entrata, favorendo al contempo, nei limiti della legge, il deflusso. I diritti fondamentali dell’individuo vanno sempre garantiti, anche con interventi di edilizia carceraria affinchè le strutture detentive siano idonee ad assicurare il rispetto della dignità umana. Si deve giungere alla cancellazione delle leggi di segregazione, dalla Bossi-Fini, alla Fini-Giovanardi, alla ex Cirielli. Intendiamo applicare la logica del diritto penale minimo che ha ispirato tutte le migliori proposte di riforma del codice penale, ancora in attesa di trasformazione in legge. Per questo bisogna potenziare il ricorso alle misure alternative alla detenzione, sia nella fase ultima del trattamento, al fine di favorire il reinserimento nella società, sia ab origine per i reati meno gravi. La stessa intenzione deve pervadere la indispensabile riforma delle misure di custodia cautelare, vera e propria sciagura del nostro sistema che viene a privare la persona dei diritti fondamentali e della stessa dignità personale trattenendo il detenuto oltre il tempo ragionevole alle esigenze cautelari.

Va invece introdotto nel nostro ordinamento il reato di tortura, la cui assenza fin qui, in molti casi di maltrattamento e di violenza, da Bolzaneto all’uccisione di Stefano Cucchi, ha garantito l’impunità ad esponenti delle forze di sicurezza.

Il diritto degli animali

Ogni animale del creato è dotato di una propria autonoma sensibilità, di provare la stessa sofferenza degli animali umani. Le sperimentazioni sugli animali e le pratiche di vivisezione, che li considerano alla stregua di oggetti inanimati da manipolare a piacimento, sono l'indice di una concezione incapace di custodire il pianeta e il vivente. Portiamo anche qui il bisogno di cambiamento.

Ogni animale del creato è dotato di una propria autonoma sensibilità, di provare la stessa sofferenza degli animali umani. Le sperimentazioni sugli animali e le pratiche di vivisezione, che li considerano alla stregua di oggetti inanimati da manipolare a piacimento, sono l’indice di una concezione incapace di custodire il pianeta e il vivente. Portiamo anche qui il bisogno di cambiamento.

Ogni animale è un essere senziente, dotato di una propria autonoma sensibilità di provare la stessa sofferenza degli animali umani e di esigenze etologiche precise ed irrinunciabili. Gli interessi economici legati all’uso indiscriminato degli esseri viventi non umani e l’indifferenza e l’incuria rendono spesso questa sensibilità dolente, e mortificano le vite di migliaia di animali. Le sperimentazioni sugli animali e le pratiche di vivisezione, che li considerano alla stregua di oggetti inanimati da manipolare e spezzare a piacimento, sono l’indice di una concezione antropocentrica troppo distante dal senso del limite e incapace di custodire il pianeta ed il vivente.

Porteremo il bisogno di cambiamento anche nel riconoscimento dei diritti degli animali, ed in un nuovo rapporto tra viventi.Che esso sia maturo lo dice l’esperienza, una pratica che cresce. Sono le persone, i cittadini, le famiglie spesso quelle delle fasce più deboli, che sempre più trovano negli animali una forma di compagnia. Nella quale si scopre un diverso rapporto con la natura e con l’ambiente, di vicinanza solidale, di rispetto che porta a riconsiderare i confini con le specie viventi. Il cambiamento richiede, anche in questo caso l’intervento della buona politica. Di un progetto ed un impegno, che abbia la forza di affermarsi come parte centrale di quel grande capitolo dei diritti da riscrivere nel nostro paese.

Inizieremo dall’educazione nelle scuole, favorendo lo sviluppo della sensibilità e del contatto verso gli animali fin dall’infanzia, accompagnando le generazioni più giovani al bisogno di vicinanza verso la natura e l’ambiente. I programmi scolastici per la conoscenza e il rispetto degli animali esistono da tempo, ma non sono diventati patrimonio concreto dell’educazione scolastica.

Interverremo sui circuiti illegali smascherando i colossali interessi economici di un crescente traffico degli animali ormai secondo commercio fuori legge esistente oggi al mondo. Contrasteremo le forme di zoomafia, delle macellazioni clandestine, della pesca illegale, delle corse di animali per scommesse: reati gestiti dalla malavita, contro gli animali e contro noi tutti.

Ci adopereremo per sintonizzarci finalmente con l’Europa, nella corretta e concreta applicazione di quella parte del Trattato di Lisbona che impegna ogni Stato dell’Unione a tenere conto nell’attuazione delle proprie politiche, delle esigenze “in materia di benessere degli animali”.

Proporremo misure volte a ripensare l’intero sistema di allevamento odierno, crudele, per gli animali e non propriamente salutare per gli umani, come dimostrano le esperienze della mucca pazza e dell’influenza aviaria che on possiamo permetterci di dimenticare.

Lavoreremo all’adeguamento in senso europeo del nostro Codice Civile e quello Penale per garantire quei diritti oggi negati agli animaliche dobbiamo saper vedere sempre più come interlocutori indispensabili all’essere umano.

La sperimentazione sugli animali andrà superata, mettendo fine alla pratica della vivisezione e investendo nella ricerca scientifica più avanzata e nei metodi sostitutivi, come già avviene in molti paesi europei e negli Stati Uniti.

Andrà rotta la connessione tra randagismo e guadagni facili e non controllati, incentivando le buone pratiche pubbliche di gestione del randagismo, ed obbligando gli enti locali alla costruzione di canili e gattili come centri di servizi socio-sanitari aperti alla collaborazione con le associazioni di volontariato. Chiederemo più investimenti nella prevenzione delle sterilizzazioni per contrastare il randagismo,nel quadro di un riconoscimento della rilevanza sociale alla cura dei randagi, con lo scopo di favorire la diffusione di nuove professionalità e nuove pratiche eticamente sostenibili di gestione del fenomeno.

Rafforzeremo il nostro impegno politico e culturale e promuoveremo iniziative per il superamento della caccia. A tal fine andrà vietato l’ingresso dei cacciatori nei fondi privati ed andranno omogenizzate le norme nazionali al fine di impedire le deroghe regionali e provinciali, A difesa della biodiversita’ rafforzeremo la tutela delle specie animali e vegetali in natura e la lotta al bracconaggio

La pace

Vogliamo che la mission internazionale del nostro Paese sia fondata sull'opzione nonviolenta e sulla cooperazione. Vogliamo essere protagonisti di nuovi strumenti a servizio della pace tra i popoli: dal sostegno attivo alla prevenzione dei conflitti alle mediazioni politico-diplomatiche, fino all'interposizione nonviolenta dei corpi civili di pace.

Vogliamo che la mission internazionale del nostro Paese sia fondata sull’opzione nonviolenta e sulla cooperazione. Vogliamo essere protagonisti di nuovi strumenti a servizio della pace tra i popoli: dal sostegno attivo alla prevenzione dei conflitti alle mediazioni politico-diplomatiche, fino all’interposizione nonviolenta dei corpi civili di pace.

Ogni giorno abbiamo davanti agli occhi i drammi della guerra. Oggi la Siria e il Mali, ieri la Libia, l’altro ieri la Somalia e i Balcani, mentre sono ancora drammaticamente attuali l’Iraq, l’Afghanistan, il Sahara occidentale e il perdurante conflitto israelo-palestinese. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle tragedie del mondo, ma dobbiamo proporre un approccio differente, fondato sull’opzione nonviolenta. Ispirati all’articolo 11 della Costituzione, vogliamo essere protagonisti di nuovi strumenti per costruire la pace tra i popoli: dal sostegno attivo alla prevenzione dei conflitti alle mediazioni politico-diplomatiche, fino all’interposizione nonviolenta dei corpi civili di pace.

Metteremo al primo posto la prevenzione e la ricerca di una soluzione politica e diplomatica del conflitto, la tutela dei diritti delle popolazioni civili beneficiarie dell’intervento, la legalità internazionale considerando l‘eventuale uso della forza solo in funzione di polizia internazionale e di interposizione, attraverso l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. La partecipazione dell’Italia a iniziative autorizzate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sarà caratterizzata dalla dimensione civile e di cooperazione, e la diplomazia popolare e nonviolenta.

Ci impegneremo per il rientro immediato delle truppe dall’Afghanistan prima della scadenza naturale del mandato prevista per il 2014. L’Italia sosterrà le iniziative volte a rafforzare il protagonismo della società civile, la promozione dei diritti umani e delle donne, la cooperazione dal basso volta a creare le premesse per un processo di riconciliazione nazionale, e all’accesso ai servizi essenziali.

Sosterremo la riduzione drastica delle spese militari nel nostro paese e di quelle a livello internazionale. Vogliamo partire dalla cancellazione del programma per la costruzione del cacciabombardiere di ultima generazione Joint Strike Fighter F35 ed utilizzare i fondi così liberati in sostegno a politiche di welfare, buona occupazione, conversione ecologica dell’economia, cura del territorio e del patrimonio artistico-culturale. Tale dibattito andrà sviluppato anche a livello europeo, al fine di identificare modalità di ridurre drasticamente le spese del comparto difesa e di riconvertire l’industria bellicain sostegno alla conversione ecologica dell’economia e la promozione della piena e buona occupazione.

Siamo per il disarmo nucleare e convenzionale, attraverso il sostegno ad una convenzione internazionale sulla messa al bando delle armi nucleari, la denuclearizzazione delle dottrine della NATO. L’Italia seguirà l’esempio di altri paesi NATO decidendo di non ospitare sul loro territorio nazionale ordigni nucleari tattici USA come quelli presenti a Ghedi ed Aviano. L’Italia dovrà inoltre dotarsi di strumenti incisivi per il controllo, regolamentazione e monitoraggio del commercio di armi.

Crediamo che l’Europa debba dotarsi, nella logica dell’articolo 11 della Costituzione italiana, di una forza dell’Unione il cui unico mandato, oltre eventuali compiti difensivi, sia quello di operare a supporto delle iniziative delle Nazioni Unite e in conformità con la Carta dell’’ONU, sempre e solo con funzioni di polizia internazionale, interposizione, tutela dei civili, e supporto a processi di mediazione e di risoluzione diplomatica e nonviolenta dei conflitti. Rilanciamo una proposta di riforma dei modelli di governo globale e per la democratizzazione delle Nazioni Unite, attraverso una profonda revisione del funzionamento del Consiglio di Sicurezza e un ruolo più significativo dell’Assemblea Generale nel definire le iniziative relative alla pace ed alla giustizia internazionale.

L’Italia dovrà insieme agli altri paesi dell’Unione promuovere processi di pace, prevenzione diplomatica e non violenta dei conflitti, e sostegno a corpi civili di pace, con particolare attenzione al Mediterraneo e Medio Oriente. Accanto alla proposta per la creazione di un’Agenzia Euromediterranea per la pace e la solidarietà internazionale ciimpegneremo per il rilancio del negoziato internazionale per la soluzione del conflitto israelo-palestinese e per un’iniziativa europea ed internazionale di mediazione nel conflitto siriano.

La cooperazione internazionale

La lotta alla povertà e all'esclusione sociale, l'impegno per la conversione ecologica dell'economia sono la proiezione dell'Italia al di là dei confini nazionali, come attore responsabile in Europa e nel mondo. Il rilancio della cooperazione può essere un'opportunità per contribuire alla costruzione dell'Europa politica.

La lotta alla povertà e all’esclusione sociale, l’impegno per la conversione ecologica dell’economia sono la proiezione dell’Italia al di là dei confini nazionali, come attore responsabile in Europa e nel mondo. Il rilancio della cooperazione può essere un’opportunità per contribuire alla costruzione dell’Europa politica.

In un mondo attraversato da molteplici crisi, da quella ambientale-climatica a quella economico-finanziaria a quella alimentare, emerge l’esigenza di un rinnovato impegno dell’Italia nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale, e per la conversione ecologica dell’economia. Contemporaneamente sarà urgente aprire una fase di ripensamento sulle modalità e le strategie di cooperazione internazionale. A questa rinnovata urgenza  fa da contraltare il calo vertiginoso dei contributi alla lotta alla povertà da parte dei paesi una volta definiti del Nord del mondo, con l’Italia ormai fanalino di coda. La cooperazione è stata poi trasformata in strumento ancillare dell’intervento militare e del sostegno delle imprese italiane.

 I temi dei diritti umani, della sovranità, della sicurezza umana nell’ambito della cooperazione andranno perciò affrontati in un’analisi congiunta, giacché permeano tutta la discussione sul ruolo dei governi, delle comunità locali nello sviluppo, nonché delle varie declinazioni di un approccio allo sviluppo fondato sul rispetto e la promozione dei diritti fondamentali, un approccio che può trasformare i cosiddetti Obiettivi del Millennio da mete quasi irraggiungibili ad impegno per la promozione dei diritti fondamentali, economici, sociali ed ambientali dei popoli.  Andrà pertanto riaffermato con forza il superamento di un approccio alla cooperazione che la riduce ad  aspetto “emergenziale”, esaltandone invece la natura “relazionale” tra culture e modi di vita. La cooperazione dovrà così essere strumento di trasformazione politica ed economia delle cause della povertà, e di rafforzamento del protagonismo diretto delle popolazioni, attraverso la costruzione di economie solidali, modelli innovativi, “demercificando” la cooperazione e aumentando gli investimenti per istruzione, formazione, educazione, riconoscendo un ruolo cardine allo scambio culturale.

Il rilancio della cooperazione, oltre a riqualificare il profilo internazionale dell’Italia, può anche essere un’opportunità per contribuire alla costruzione dell’Europa politica, attraverso una maggior partecipazione dei soggetti di cooperazione italiani alla gestione e utilizzo di questi fondi e alla definizione delle strategie. Il tema quindi è essenzialmente politico, riguarda il modello economico globale, la crescita esponenziale delle dinamiche di diseguaglianza, ed esclusione sociale (e non solo più nel vecchio “terzo mondo” ma anche a casa nostra), il riconoscimento delle persone come soggetti e non oggetti di tutela, la riaffermazione dei diritti economici e sociali, un approccio fondato sui diritti umani, sulla tutela dei beni comuni, e dei beni pubblici globali.

Metteremo al centro delle politiche di cooperazione un approccio allo sviluppo fondato sul rispetto e la promozione dei diritti fondamentali, per una cooperazione nuova fondata sul soddisfacimento dei bisogni e la promozione dei diritti economici, sociali, culturali, ambientali attraverso il protagonismo diretto dei supposti destinatari, i partenariati locali, la cooperazione decentrata e forme di cooperazione tra territori e comunità che facciano leva su modelli di “altraeconomia”, finanza solidale, innovazione tecnologica, creazione di piena e buona occupazione, tutela e promozione dei beni comuni, in particolare in Africa e Mediterraneo;

Daremo maggior protagonismo al nostro paese nella cooperazione allo sviluppo europea, assicurando una maggior partecipazione dei soggetti di cooperazione italiani alla gestione ed utilizzo di questi fondi ed alla definizione delle strategie;

Separeremo la cooperazione civile da ogni attività militare, reindirizzando i fondi per l’integrazione a iniziative volte alla promozione dei diritti di cittadinanza per i migranti, la tutela dei diritti umani, sostenendo programmi di co-sviluppo attraverso i quali i migranti potranno affermare le proprie progettualità e ipotesi di soluzione delle cause che sono alla base della loro scelta migratoria;

A livello internazionale sosterremo procedure eque e trasparenti per la rinegoziazione e cancellazione del debito, il riconoscimento della priorità dei diritti al cibo, all’acqua, alla salute, alla casa, alla terra in tutti gli ambiti rilevanti, dalle politiche di lotta alla povertà della Banca mondiale a quelle commerciali dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, al sostegno a strumenti innovativi per prevenzione delle speculazioni finanziarie ed il finanziamento dello sviluppo, tra cui la tassa sulle transazioni finanziarie, fino alla riforma dei meccanismi di governo globale al fine di aumentarne la democraticità e assicurare maggior protagonismo alla società’ civile ed agli altri nuovi attori globali

Al fine di assicurare maggior coordinamento delle attività di cooperazione, facendo tesoro dell’importante precedente della nomina per la prima volta nella storia di un ministro per la cooperazione,  proporremo la creazione di  una figura di governo di alto livello per la cooperazione, di un’Agenzia come strumento operativo di supporto coordinamento e valutazione, con sedi in loco, e di un Fondo unico per assicurare una gestione unitaria dei fondi di cooperazione.

Ci impegneremo affinché l’Italia tenga fede ai suoi impegni di stanziamento d fondi per la lotta alla povertà, sia a livello di cooperazione bilaterale che multilaterale, a partire dalla ricapitalizzazione del Fondo Globale contro Aid, Malaria, TBC, fino al sostegno al Fondo Globale per il Sahel proposto dall’inviato speciale ONU per il Sahel, Romano Prodi.

La nostra idea di Europa

L'Italia deve tornare a essere protagonista della formazione degli Stati Uniti d'Europa con al centro politiche fiscali eque che contribuiscano a ridistribuire la ricchezza e rilanciare un piano europeo per la buona e piena occupazione, per la conversione dell'economia e dei cicli produttivi, per politiche di welfare e di cittadinanza, per il reddito minimo su scala continentale.

L’Italia deve tornare a essere protagonista della formazione degli Stati Uniti d’Europa con al centro politiche fiscali eque che contribuiscano a ridistribuire la ricchezza e rilanciare un piano europeo per la buona e piena occupazione, per la conversione dell’economia e dei cicli produttivi, per politiche di welfare e di cittadinanza, per il reddito minimo su scala continentale.

Crediamo nell’Europa, quella di Altiero Spinelli, quella dei diritti, del modello sociale, di un continente fatto distati che superando i confini della politica nazionale si federano in nome di un ideale alto di pace, giustizia sociale ed ambientale. Quel progetto di Stati Uniti d’Europa oggi rischia di soccombere di fronte alla crisi economica e finanziaria, sotto le politiche di austerità imposte da un modello di governo tra governi, nel quale gli interessi nazionali prendono il sopravvento rispetto agli obblighi di solidarietà. Il dramma del popolo greco, le mobilitazioni che attraversano le piazze dei Sud del continente, la contrazione inaccettabile delle spese sociali, dall’istruzione alla sanità, la privatizzazione dei profitti delle banche e del settore finanziario ci chiamano ad una sfida irrinunciabile. Allo spread dei mercati finanziari causa della progressiva accumulazione di debito sociale ed ecologico per queste generazioni e quelle a venire, dobbiamo contrapporre il rilancio di un progetto politico federale, giacché la crisi piuttosto che economica è crisi politica. É una crisi di vocazione e di democrazia: la crisi di istituzioni quali il Parlamento Europeo, incapace di esercitare un potere di indirizzo nei confronti della Commissione e della Banca Centrale Europea.

L’Europa oggi sconta il prezzo di gravi ritardi e contraddizioni. Il prezzo di un progetto limitato all’adozione di una valuta comune, l’euro, al quale non è seguita la costruzione dei fondamenti politici, di un sistema davvero europeo di governo e di produzione di regole comuni. Così quel modello sociale europeo risultato delle mobilitazioni e delle proposte dei movimenti operai, dei movimenti sociali di tutto il continente oggi soccombe a fronte dell’imperativo di tutelare gli interessi del mercato e della finanza. Trilioni di euro sono stati spesi per operazioni di salvataggio delle banche europee esposte nei confronti di paesi indebitati quali la Grecia e la Spagna creando una spirale perversa di ulteriore indebitamento e contrazione delle attività produttive e dell’economia reale. Le condizioni imposte in cambio dell’accesso a pacchetti di aiuto da parte della BCE hanno inoltre contribuito a precipitare milioni di persone nella spirale drammatica della povertà e dell’esclusione sociale.

Questa situazione rappresenta il brodo di coltura per ideologie xenofobe e populiste, secondo le quali l’unico antidoto alla crisi sarebbe il ritorno identitario all’interno dei confini degli stati nazionali. A queste regressioni, allo spread sociale e culturale, andrà contrapposto il rilancio del processo costituente europeo per gli Stati Uniti d’Europa. L’Italia come paese fondatore dell’Unione Europea deve tornare a essere protagonista non solo attraverso la costruzione di un’architettura di governo fondata sulla partecipazione diretta dei cittadini, ma anche e soprattutto attraverso il sostegno a politiche fiscali eque, che contribuiscano a redistribuire la ricchezza e rilanciare un piano europeo, un  Green New Deal, che costruisca le basi per la buona e piena occupazione, per la conversione dell’economia e dei cicli produttivi, per politiche di welfare e di cittadinanza, per il reddito minimo su scala continentale. Al Fiscal Compact contrapporremo pertanto un patto dei cittadini per la democrazia, i diritti sociali, il reddito minimo, i diritti dei lavoratori, l’equità e la giustizia. Perseguiremo quest’obiettivo assieme alle forze della sinistra e socialiste europee, convinti che la costruzione dell’Europa debba passare attraverso un rinnovato protagonismo delle forze progressiste, dei sindacati e dei movimenti sociali. Per ridare anima a un progetto rimasto a metà strada, non ci si potrà limitare a operare a livello di governi, ma dovremo alimentare e partecipare ad un processo dal basso, su scala transnazionale, che potrà avere occasione di esprimersi anche nelle prossime elezioni europee del 2014 per le quali ci impegneremo alla costruzione di liste transnazionali come primo passo verso un Parlamento Europeo più forte, espressione della volontà, del mandato e del voto di cittadini europei.

Lavoreremo con i governi e le forze progressiste europee per una rinegoziazione dele politiche comunitariee modificare l’intero impianto recessivo di matrice merkeliana;

Daremo sostegno ad un’Assemblea Costituente ed un processo di revisione dei Trattati nel quale il Parlamento Europeo eletto nel 2014 avrà un ruolo centrale. Un’Europa federale per ridefinire le priorità di sviluppo sociale rispetto a quelle di rigore fiscale e di bilancio. Il Parlamento Europeo avrà il potere legislativo e il mandato e obiettivi della Banca Centrale Europea verranno profondamente rivisti e corretti. La BCE dovrà sostenere i paesi in crisi operando come prestatore di ultima istanza per i titoli di Stati, ed emettendo eurobond;

Sosterremo il rafforzamento e l’effettiva attuazione di misure di tassazione sulle transazioni finanziarie, allargando il numero di paesi sostenitori e utilizzando il gettito per obiettivi di tipo nazionale (welfare, politiche del lavoro etc) e internazionale (cooperazione allo sviluppo, lotta ai cambiamenti climatici) nell’ottica di un maggior coordinamento a livello europeo;

Chiederemo la rinegoziazione del Patto di Stabilità fissando i parametri secondo i quali definire come produttivi specifici capitoli di spesa (welfare, conversione ecologica, spese per occupazione, innovazione, cultura) ed impegno alla revisione della Golden Rule al fine di escludere tali spese dal Patto di Stabilità;

Chiederemo che il governo italiano sostenga nel Consiglio dell’Unione Europea la revisione della direttiva “della vergogna” degli accordi di riammissione, a politiche europee per i diritti civili, diritti GLBQT e contro la discriminazione;

Sosterremo  un processo di integrazione  mediterranea, di cooperazione internazionale, di scambi culturali e commerciali, libera circolazione delle persone, e promozione di energie rinnovabili e su piccola scala.

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