Come eravamo: lo stato dell’arte (quarantennio 1965 – 2005)
Una svolta radicale: la valutazione di danno sanitario
Ringrazio innanzitutto la mia maggioranza, ma ovviamente ringrazio pure la opposizione, per l’occasione che mi viene offerta di difendere non solo una biografia individuale, ma anche una storia collettiva, che è politica, è scientifica, è culturale, è civile. Di difenderla da una calunnia insopportabile che si esercita con lo stile del processo mediatico, la barbarie travestita da giustizia fai da te, il soffio maligno sulla piazza. Di difenderla più che con ragionamenti sofisticati su quanto sia paradossale discutere di Ilva a parti rovesciate, difenderla con il racconto delle cose, atti, fatti, leggi, investimenti. Gli smemorati discettano di Ilva, come se non ci fosse un prima, un durante e un dopo, rispetto a ciò che accadde in Puglia nella primavera del 2005. Perdonatemi la pignoleria, ma ho pensato di allegare a questa relazione un significativo campione documentale che include atti amministrativi e normativi, corrispondenza istituzionale, rassegna giornalistica e che può essere utile come riscontro della mia ricostruzione di vicende che hanno rappresentano una svolta nelle politiche ambientali in Italia.
Cominciamo dall’inizio, da cosa troviamo, dallo stato dell’arte. La situazione è assolutamente desolante, la Puglia non ha strumenti evoluti di tutela ambientale, non ha Protezione civile, non custodisce le sue coste, non cura i suoi corsi d’acqua, gioca d’azzardo con l’amianto alla Ex Fibronit di Bari, è in infrazione comunitaria per le mancate bonifiche a Manfredonia, per il mancato adeguamento della rete di depurazione alle norme europee, per la carenza di parchi e di aree protette. E’ una regione a rischio di accogliere un rigassificatore nella pancia di Brindisi e un paio di centrali nucleari magari nel Salento: non sono fumetti questi, ma cronache recenti di casa nostra.
Quando si insedia il primo governo regionale Vendola (primavera 2005) la situazione dell’ordinamento di settore, dello stabilimento tarantino e del territorio circostante è la seguente:
Il sito è incluso in area dichiarata “ad elevato rischio di crisi ambientale” come definito dalla L.426/1998 e individuata dal D.P.C.M. 30.11.1990, reiterato con D.P.C.M. 30.7.1997 e in seguito inclusa nel D.P.R. 23.4.2998 di adozione del Piano di risanamento.
L’area tarantina è altresì inclusa in un Sito di bonifica di Interesse Nazionale.
Dunque, nel 2005 il sito è già da 15 anni ricompreso in area ad elevato rischio di crisi ambientale ma non vi sono sostanziali iniziative in atto.
L’impianto è funzionante dall’anno 1965 con oltre 200 camini attivi.
Lo stabilimento è dotato di una semplice autorizzazione alle emissioni in atmosfera rilasciata nel 2003 ai sensi del DPR 203/1988 (allegata), che si limita ad elencare i numerosi punti di emissione e a disciplinare Polveri, NOx e SOx, oltre a dettare alcune prescrizioni gestionali. Prevede controlli a carico di ARPA e ASL che non vengono mai eseguiti.
Nessun dato sulle emissioni viene acquisito o reso noto dal 1965 al 2001.
Dal 2001 in poi sono disponibili solo dati autodichiarati dall’impresa all’inventario INES – EPER:
Gli unici interventi di miglioramento delle performance ambientali dello stabilimento tarantino erano quelli previsti, in via pattizia, con le intese in data 8 marzo 2003, 27 febbraio 2004 e 15 dicembre 2004.
Dunque nel 2005 non esistono serie di dati storici idonei e non vi sono forme di monitoraggio e controllo in atto. Nonostante ciò i dati auto-dichiarati evidenziano livelli molto alti di emissione.
La struttura tecnico-scientifica a servizio delle Istituzioni è rappresentata dall’Agenzia Regionale di Protezione dell’Ambiente.
L’ARPA è una struttura prevista dalla l. 61/1994, che però la Puglia istituisce solo con l.r. 6/1999.
L’attivazione effettiva dell’Agenzia avviene solo nel 2003 (Direttore Generale Alfredo Rampino), attraverso la fusione dei Presidi Multizonali di Prevenzione delle ASL.
Nel 2005, la pianta organica di ARPA prevede 832 unità, ed invece ha solo 301 dipendenti, che include il personale trasferito dalle ASL e quello in comando.
Il Dipartimento di Taranto ha un numero del tutto insufficiente di dipendenti, e nessuna strumentazione utile per l’analisi delle diossine/furani ed in genere per valutare gli effetti delle pressioni ambientali dell’area industriale tarantina.
Quanto agli organici, si consideri che il Dipartimento di Taranto, nel 2005, ha solo 30 unità, cioè circa la metà degli altri Dipartimenti provinciali, che pure operano in territori con pressioni ambientali infinitamente inferiori (Bari 61, Brindisi 55, Foggia 55, Lecce 57, Taranto 30).
Dunque, nel 2005 ARPA non ha mezzi, risorse ed attrezzature idonee a consentire di valutare e fronteggiare le pressioni industriali dell’area tarantina; il Dipartimento di Taranto ha la metà del personale degli altri Dipartimenti.
Quali sono le principali normative statali in materia di ambiente applicabili ad ILVA nel 2005? Vediamo: la situazione sembra eccellente, per Ilva.
Dunque, nel 2005 ILVA può continuare ad emettere inquinanti senza violare leggi o autorizzazioni anche perché i limiti emissivi sono altissimi e sostanzialmente inutili e non risultano espletate attività di controllo.
La rete regionale di centraline parte solo a maggio 2004.
Nessun controllo a camino viene mai eseguito in relazione allo stabilimento ILVA
Dunque, nel 2005 non si ha alcun dato ambientale consistente e nessuna attività di controllo al camino già eseguita o in corso di esecuzione.
Nel 2005 la normativa vigente non prevede l’esame dell’impatto sanitario delle emissioni industriali, neanche in sede autorizzativa (DPR 203/1988).
Nel periodo 1999-2003 ha operato il Registro Tumori Jonico Salentino, istituito come mero progetto di ricerca dall’Università di Bari (prof. Giorgio Assennato) nell’ambito dei Piani di disinquinamento delle aree di crisi ambientali di Brindisi e Taranto, senza alcuna forma di istituzionalizzazione: vengono comunque fornite le prime stime di incidenza tumorali del triennio 1999-2001. In quel contesto, il gruppo di ricerca guidato dal prof. Assennato effettua anche studi sull’esposizione ad IPA nei lavoratori della cokeria.
In quel periodo erano comunque disponibili i dati di ospedalizzazione e di mortalità.
Fino al 2005, dunque, a fronte delle prime evidenze di criticità sanitarie, non era attivo alcun sistema di monitoraggio ambientale sistematico, né sull’aria ambiente (tantomeno all’interno dello stabilimento), né sulle emissioni dei camini. Gli unici dati disponibili erano quelli autocertificati dall’azienda nell’ambito dell’ European Pollutant Release and Transfer Register (E-PRTR)
Allegati:
La consapevolezza di una emergenza diossine e furani viene acquisita dalla Regione attraverso le campagne di rilevazione effettuate da ARPA dal giugno 2007 al giugno 2008.
Per consentire all’Agenzia regionale di fornire i dati su alcuni dei più pericolosi agenti inquinanti è stato necessario dotare ARPA di strumentazioni e personale adeguati di cui l’Agenzia era storicamente priva, operando perfino nella inadeguata sede del Dipartimento Provinciale di Bari. Da qui il piano assunzionale straordinario del 2006 (3 M€ ordinariamente inseriti in bilancio, per 102 unità a tempo indeterminato) preceduto dall’approvazione della pianta organica (ARPA ne era priva) da parte della Giunta regionale. In tal rigenerato contesto, nel dicembre 2006, la Regione perciò ha sottoscritto con ARPA un protocollo di intesa a ciò finalizzato.
La campagna di rilevazione viene integrata nel periodo aprile – ottobre 2008 dalla misurazione della diossina sulle matrici alimentari e va perciò ben oltre, per precisione e scientificità, rispetto ai soli dati stimati pubblicati dall’Inventario Nazionale delle Emissioni (INES dell’ISPRA) che costituivano, fino a quel momento, l’unica fonte di riferimento per le Istituzioni.
Ricordo che per eseguire i primi controlli al camino della storia dello stabilimento (dopo 47 anni dall’entrata in esercizio) le Istituzioni hanno dovuto persino acquisire la strumentazione per il prelievo dei fumi, ordinando da una azienda tedesca una sonda al titanio realizzata ad hoc. I campionamenti sono stati eseguiti da giovani tecnici dell’ARPA in un clima di totale ostilità dell’ILVA: non avendo l’azienda reso disponibili gli ascensori dedicati, i tecnici di ARPA hanno raggiunto la finestrella del prelievo, a 50 metri da terra, attraverso una scaletta all’italiana, imbragati come alpinisti, e rimanendo in sospensione per tutto il tempo necessario all’esecuzione dei rilievi. Il rifiuto di ILVA di mettere a disposizione gli ascensori si è protratta per anni, nel corso dei quali i prelievi sono sempre stati eseguiti nelle condizioni descritte.
Per rendere possibili le analisi dei campioni, le Istituzioni acquistano uno spettrometro di ultima generazione e istituiscono presso ARPA un laboratorio di eccellenza. Lo spettrometro viene acquistato con fondi regionali, che la Regione assegna alla Provincia per azioni in materia di ambiente, attraverso una procedura di appalto gestita da ARPA.
Contemporaneamente, il sottoscritto, in qualità di Presidente della Regione, avanza, con note e lettere formali, datate settembre 2007, luglio e settembre 2008, una serie di richieste al Ministro dell’Ambiente ed al Presidente del Consiglio finalizzate ad un auspicato Accordo di Programma Stato – Regione per la procedura AIA incardinata sulla riduzione delle diossine e dei furani oltre ed al di là della legislazione nazionale (d. lgs. 152/06, con un limite di emissioni pari a 10.000 nanog/Nmc, riferito a tutti i 210 congeneri di policlorodibenzodiossine e policlorodibezofurani).
È del tutto evidente che la generalità dei 210 congeneri non consente una conoscenza reale dei livelli di tossicità dell’inquinamento; per questo la rilevazione ARPA sul camino E312 avviene, opportunamente, seguendo la norma tecnica (UNI-ENI 1948-1:2006) che prende in considerazione solo la concentrazione dei 17 congeneri pericolosi, sulla base di un protocollo operativo fra ARPA, ILVA e CNR del maggio 2007, che fa seguito alle intese di cui al protocollo di intesa del 2006.
Da tali rilevazioni emergono dati preoccupanti sia nel periodo 12-14 giugno 2007, che in quello relativo al 26-28 febbraio 2008, fino a superare il valore di 8 nanog I-TEQ/Nmc, che, nel successivo monitoraggio, effettuato con additivazione di urea nella miscela di agglomerazione, scendono intorno al valore medio di 3.
Queste iniziative si affiancano alla verifica del Protocollo di intesa, sottoscritto da Stato, Regione, ILVA, Enti locali, associazioni sindacali e di interesse nel 2006, a completamento ed integrazione della precedente intesa del 2004 (Governo Fitto) con circa 130 progetti di risanamento ambientale fra i quali (verificati) la rimozione dell’amianto, la dismissione delle apparecchiature PCB, la riduzione dei cumuli di olivina, ecc.
Questo è il contesto in cui la Giunta Vendola predispone e approva, nel novembre del 2008, un disegno di legge finalizzato a fissare un valore limite di emissione di diossine e furani, misurato in tossicità equivalente, ovvero riferito ai 17 congeneri ritenuti più nocivi, prevedendo, dopo i prescritti controlli, in caso di superamento, anche la possibilità dell’arresto immediato della fabbrica, previa diffida a rientrare, in 60 giorni, nei limiti previsti.
La Regione Puglia è la prima e a tutt’oggi l’unica regione italiana a dotarsi di questa innovativa legislazione finalizzata alla riduzione dell’inquinamento tossico, legge votata dalla maggioranza di centro-sinistra, con l’astensione della opposizione di centro-destra. Il dibattito in Consiglio è denso di preoccupazioni, particolarmente dell’opposizione, per le prospettive del grande stabilimento e delle sue maestranze,. A titolo esemplificativo si riportano le dichiarazioni del consigliere Silvestris, uno degli astenuti: “se questa legge dovesse provocare licenziamenti massicci……vorrà dire che è una legge imperfetta, inidonea e incapace di risolvere nella sua complessità un problema caratterizzato da tante drammaticità. L’atteggiamento di voto guarda anche a quello che sarà l’esito: o la legge funziona e produce effetti, oppure se non funziona e produce ulteriori conflitti istituzionali, ulteriore apertura di fronti polemici, di scontri istituzionali tra Governo regionale e Governo nazionale, tra Governo regionale e imprese, anche rispetto al fronte occupazionale non sarà un merito di questo Governo ma al contrario un ulteriore problema”
Il 19 dicembre 2008 il Consiglio regionale approva, pertanto, la l.r. n. 44, “Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio: limiti alle emissioni in atmosfera di policlorodibenzodiossina e policlorodibenzofurani”.
Una folta delegazione del movimento Altamarea, che aveva mobilitato l’intera città di Taranto in una grande manifestazione il 29 novembre, è presente in aula e applaude il voto finale di approvazione.
Fino a quel momento, l’esperienza pilota nazionale era l’autorizzazione alle emissioni rilasciata dalla Regione Friuli Venezia Giulia in relazione al più modesto stabilimento della società Lucchini.
La generalizzazione della normativa e la sua estensione a tutto il territorio nazionale viene invocata a gran voce dai movimenti ambientalisti; resta lettera morta: quei limiti di diossina si applicano solo in Puglia.
Una delle possibili conseguenze della legge era individuabile nel conflitto di competenze con lo Stato, titolare esclusivo del potere legislativo in materia ambientale (art. 117, comma 2, lettera s della Costituzione), nonché della relativa e potestà autorizzativa. Era, dunque, forte il rischio (come segnalavano i consiglieri del PDL) di un conflitto istituzionale con il Governo del premier Berlusconi e del Ministro Prestigiacomo. Per questo, dopo l’approvazione della legge, il confronto con il Governo nazionale nell’ottica della leale collaborazione istituzionale portò, il 19 febbraio 2009, ad un protocollo di intesa fra Stato, Regione, Enti locali ed ILVA. Il protocollo prevedeva l’impegno da parte di ILVA a conseguire, entro il 31 dicembre 2010, il limite di 0,4 nanog I-TEQ/Nmc, attraverso modifiche impiantistiche, uno spostamento di 3 mesi dei termini temporali per l’applicazione dei valori limite individuati dalla legge regionale, e altri impegni come il monitoraggio semestrale delle diossine da parte di ISPRA ed ARPA con oneri a carico del gestore attraverso prove ripetute a settimane alterne.
Conseguentemente, il Consiglio regionale il 30 marzo 2009 ha approvato, all’unanimità, la nuova legge n. 9/2009 “Modifiche alla l.r. 44/08” che, sostanzialmente, ratificava i termini del predetto protocollo del 19 febbraio.
Allegati:
Anche per il BaP la Puglia è l’unica regione in Italia ad approvare una legge (l.r. n.3 del 28 febbraio 2011) che prevede un intervento immediato da attuare in caso di superamento del limite di emissione (obiettivo di qualità).
Il percorso che portò il Consiglio al voto unanime favorevole sulla legge 3/2011 si avvia quando la Regione riceve comunicazione formale di ARPA (il 16 aprile 2010) che rappresenta il superamento del valore di 1 nanog/Nmc nella centralina di Via Macchiavelli, nel quartiere Tamburi di Taranto, dove, sulla base delle rilevazioni effettuate nel 2009, viene riscontrato un valore di 1.3 nanog/Nmc. La precedente campagna, eseguita nel 2008, era stata invalidata dal Ministero dell’Ambiente, con cui ARPA attiva un acceso contraddittorio.
Sulla base della relazione preliminare ARPA il Sindaco di Taranto emette una ordinanza contingibile ed urgente che l’ILVA impugna immediatamente; il TAR Lecce prima sospende e poi annulla il provvedimento.
In parallelo, la Regione avvia la redazione di un piano di risanamento della qualità dell’aria contenente le necessarie misure urgenti finalizzate a contrastare i livelli di BaP presenti in atmosfera e chiede al Ministero dell’Ambiente di integrare l’istruttoria dell’AIA ancora in corso con misure di esercizio che consentano una riduzione delle emissioni di BaP.
Una seconda ed una terza sollecitazione della Regione al ministero dell’ambiente in ordine alla necessità di determinare condizioni di esercizio più restrittive nell’ambito dell’AIA sono inviate l’8 ed il 29 giugno 2010. Tali note restano, come la precedente, inevase.
Fra le iniziative finalizzate all’assunzione di interventi efficaci contro il BaP vanno menzionati gli incontri con i gestori privati del 20 e del 22 giugno 2010, nei quali la Regione chiederà a ENI e Cementir, dichiaratesi disponibili, di installare, a proprie spese, una rete di centraline all’interno del proprio perimetro aziendale, da affiancarsi a quelle esterne di ARPA.
Al perdurante silenzio del Ministero dell’ambiente e dei suoi organismi tecnico-amministrativi si aggiunge l’indisponibilità di ILVA a seguire l’esempio di ENI e Cementir con il diniego alla installazione di centraline se non nell’area esterna allo stabilimento (verbale incontro 23 luglio e raccomandata ILVA del 26 luglio 2010). Viene così clamorosamente smentita da ILVA la disponibilità manifestata oralmente e riportata in una conferenza stampa della Regione svoltasi il 15 luglio 2010.
In pochi giorni arrivano le risposte attese e non sono quelle previste: il 13 agosto viene approvato il decreto legislativo n. 155/2010 che sposta dal 31 dicembre 1998 al 31 dicembre 2012 il termine temporale entro il quale raggiungere il valore obiettivo di 1 nanog/Nmc per il BaP. Il Ministro Prestigiacomo (il decreto è pubblicato in gazzetta ufficiale il 15 agosto) dimostra di non aver fretta nel salvaguardare da questo inquinante la salute dei tarantini. Non meraviglia, pertanto, che ILVA rifiuti l’adesione al piano di monitoraggio trasmessogli dalla Regione il 2 settembre ed approvato dalla Giunta il 9 settembre con propria delibera n. 1976, finanziariamente onerosa per le centraline esterne a carico della Regione stessa. In esso si esplicita la presenza di centraline interne negli impianti ENI e Cementir e della indisponibilità di ILVA a fare altrettanto.
Questo, in sintesi, il procedimento che porta al disegno di legge n. 20 del 26 ottobre 2010, diventato legge regionale n. 3/2011, con l’obiettivo di raggiungere il valore di 1 nanog/Nmc nell’area di Taranto nel più breve tempo possibile.
Non manca l’ennesima segnalazione al Ministero (16 febbraio 2011) con la quale si rappresenta uno squilibrio di attenzione dello stesso fra ILVA ed Enti pubblici a vantaggio del gestore sul tema degli obiettivi di qualità dell’aria. Da qui la richiesta contenuta nel parere favorevole AIA della Regione (obbligatorio ma non vincolante) di procedere all’eventuale riesame dell’AIA a conclusione del monitoraggio diagnostico sul BaP avviato dalla Regione.
Inoltre con propria delibera n.1474 del 17 luglio 2012, la Giunta vara il piano di intervento per il risanamento della qualità dell’aria, in relazione ai contaminanti BaP e PM10, per la emergenza di Taranto che prevede le prime misure di intervento finalizzate a riportare gli inquinanti sotto i limiti normativi, quali la limitazione della produzione nei wind days e la copertura dei parchi minerari (con misure transitorie quali l’arretramento dei cumuli e la riduzione delle altezze volumetriche degli stessi). La validità di tale provvedimento è confermata dal recepimento nella nuova AIA 2012 (ministro Clini) del dispositivo della delibera di Giunta.
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Dopo qualche decennio di trascuratezza, la Regione, con delibera di questa Giunta n. 1500 del 2008, formalizza la costituzione del registro tumori jonico-salentino attraverso una sinergica collaborazione delle ASL ed una centrale operativa presso l’Istituto Oncologico.
Avviare un registro tumori che copre 4 milioni di cittadini, e che non ha tuttora eguali nel nostro Paese, non è esattamente come girare una chiave e far partire un auto. Bisogna prima costruire il motore. La DGR è dell’agosto 2008, la firma del protocollo di intesa e l’insediamento del Comitato Scientifico del 2009. Per tutto il 2009 vengono fatte le assunzioni, insediato il centro di coordinamento, definito software di gestione, scritto regolamento e lo schema di funzionamento. Sono stati recuperati due milioni di referti di anatomia patologica e tutti i flussi alla base del registro, dal 2000 in poi: mortalità, esenzioni ticket, schede di dimissione ospedaliera, specialistica, farmaceutica, archivi clinici delle radioterapie, oncologie, ematologie, esiti delle commissioni invalidi (informatizzati o cartacei)…sono stati istituiti tavoli tecnici di condivisione con tutti gli operatori del settore in tutti i territori, condividendo il percorso anche con le rappresentanze dei medici di medicina generale.
Gli atti di istituzione della sezione di Taranto da parte della ASL, la prima a partire su impulso della Regione, sono del 2010: in nessuna parte di Italia un registro è stato accreditato in un soli 2 anni e mezzo per un triennio. Il periodo per ottenere mediamente l’accreditamento è di circa 4/5 anni, il periodo di registrazione per l’accreditamento è perfettamente in linea con gli altri registri nazionali, lo stato di avanzamento attuale è relativo al biennio 2009-2010, più aggiornato della media.
Si è messo così riparo ad una vecchia e deficitaria situazione, espressione di una sottovalutazione, se non disinteresse, di una certa classe dirigente.
I dati di incidenza neoplastica prodotti sono stati utilizzati dai periti del GIP per la perizia epidemiologica (che peraltro hanno acquisito anche i dati del Registro Tumori Jonico-Salentino) e del rapporto ISS presentato dal Ministro Balduzzi nell’ottobre 2012.
Le sezioni di Taranto e di Lecce sono ufficialmente accreditate a livello nazionale acquisendo, così, la necessaria validità scientifica che consente una analisi obiettiva della situazione e i confronti con le altre realtà nazionali. Successivamente, con delibera di Giunta n. 1197 del 1 luglio 2013, l’esperienza del registro tumori è stata istituzionalizzata e, esempio unico in Italia, resa attività ordinaria e stabile del Servizio Sanitario Regionale.
I dati del registro tumori sono pubblicati da marzo 2013 sul portale salute, e quindi nella Relazione sullo stato di salute della popolazione pugliese del luglio 2013, sancendo il superamento della frammentazione e della estemporaneità delle analisi svolte da un variegato mondo di associazioni, università ed istituzioni locali ispirate da un approccio volontaristico.
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Il 26 luglio 2012 viene sottoscritto un protocollo di intesa tra alcuni ministeri, la Regione e gli enti locali per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di alcune aree di Taranto, a iniziare dal quartiere Tamburi.
Il protocollo è un risarcimento per precedenti intese sottoscritte e inevase dallo Stato con sottrazione dei fondi destinati alle aree pubbliche, le scuole ad esempio, verso scelte di politica finanziaria nazionale.
Il Governo Monti riconosce il torto subito dalla Puglia e l’emergenza della realtà tarantina e acconsente alla ripresa dell’intesa finanziandola con 120 M€, una parte dei quali sottratti alla ghigliottina del patto di stabilità, per le bonifiche e circa 190 M€ per le opere di infrastrutturazione del porto.
Nel corso di un anno si è potuto rapidamente procedere fino all’avvio della caratterizzazione dei primi interventi in alcune aree di Tamburi e Statte dopo le verifiche sulla qualità degli agenti inquinanti che hanno purtroppo confermato la gravità della situazione e la necessità di complessi interventi di bonifica e risanamento. Contemporaneamente sono stati affidati ad ARPA ed ISPRA gli studi sulle modalità di migrazione degli inquinanti nelle acque del Mar Piccolo, interessate da forti contaminazioni di PCB ed altri agenti, così come verificato dalle analisi ARPA e laboratorio zoo profilattico di Teramo nel 2008, con conseguente trasferimento degli allevamenti di mitili e parziale indennizzo da parte della Regione.
Allegati:
Con 8 M€ in bilancio, assegnati con la l.r. 18/12, la Giunta, con delibera n. 1980 del 2012, ha adottato il piano straordinario salute e ambiente che prevede un investimento per la ristrutturazione ed il recupero funzionale del presidio Testa nell’area SIN di Taranto e per il potenziamento dell’organico ai fini della realizzazione dell’attività. Essa consiste, principalmente, negli studi e nelle valutazioni della correlazione tra esposizioni ambientali e salute umana, anche a supporto della Valutazione di Danno Sanitario.
Vengono inoltre implementate attività di prevenzione primaria e secondaria nonché di potenziamento ed ottimizzazione dei percorsi diagnostico – terapeutici delle patologie correlate all’inquinamento atmosferico presso le strutture dei distretti socio – sanitari e con il coinvolgimento dei medici di Medicina generale e dei pediatri di Libera Scelta.
Questa scelta strategica di valorizzare la ricerca e la prevenzione è stata accompagnata da altri provvedimenti finalizzati alla deroga del turn-over ospedaliero con il consenso del Governo nazionale per meglio fronteggiare l’emergenza sanitaria di Taranto e dell’area Jonica.
Il centro salute – ambiente costituirà un punto di eccellenza che farà onore alla Puglia confermando l’attenzione e la sensibilità della Regione verso la grave situazione tarantina.
Allegati:
Con la l.r. 24.7.2012, n. 21, approvata alla unanimità dal Consiglio, è stata istituita la Valutazione del Danno Sanitario (VDS), finalizzata alla prevenzione di pericoli gravi per la salute della popolazione e degli habitat potenzialmente provocati dagli stabilimenti industriali insistenti in aree critiche (SIN e aree ad elevato rischio di crisi ambientale).
La legge, dunque, non concerne solo ILVA, ma costituisce una procedura valutativa a largo raggio sugli stabilimenti soggetti alla disciplina dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA)
L’art. 2 della legge affida la redazione di un rapporto di Valutazione di Danno Sanitario per la verifica di eventuali effetti correlati alle attività degli impianti, alle ASL territorialmente competenti, all’ARES e all’ARPA, quest’ultima anche in funzione di coordinamento.
La fase di elaborazione della legge ha visto una lunga e difficile transizione nella quale Confindustria Puglia, su iniziativa del suo Presidente pro tempore, ha esplicitato con forte carica polemica il proprio dissenso per non pregiudicare l’attività imprenditoriale.
In presenza di tale contrasto il Presidente della Giunta ha reagito sospendendo temporaneamente i “tavoli” tra Regione e Associazione Industriali e invitando per iscritto il Presidente della V Commissione consiliare ad accelerare i tempi per l’approvazione della legge.
In applicazione della citata normativa è stato emanato il Regolamento Regionale n. 24 del 3.10.2012, che stabilisce le modalità operative della VDS, partendo, in via preliminare, dalla verifica di eventuali criticità sotto il profilo sanitario associato ai dati ambientali (art. 6, comma 2, Reg. cit.).
Al regolamento si sono opposte diverse società, specie del comparto energetico, operanti nelle zone a rischio, e in particolare nelle aree di Brindisi e di Taranto, che hanno proposto ricorsi al TAR sostenendo la presunta incostituzionalità della disciplina.
Il punto centrale della normativa è rappresentato dal riscontro di criticità sanitarie che costituiscono requisito e presupposto per l’attivazione della procedura VDS.
L’art. 5 del Regolamento cit., prevede la definizione di un quadro epidemiologico che faccia riferimento “alle stime più aggiornate di mortalità, ospedalizzazione e di incidenza dei tumori disponibili”, ed ove non emergano criticità il rapporto si conclude con la non sussistenza del danno sanitario.
La legge scaturisce dalla necessità di approfondire le tematiche sanitarie di esercizio degli impianti sottoposti ad AIA, nella acquisita consapevolezza che nella fase autorizzativa preliminare manca, in genere, una adeguata valutazione dei profili sanitari.
Dunque, va a colmare una obiettiva lacuna legislativa che estromette dal campo di indagine il pregnante interesse pubblico connesso alla tutela sanitaria.
La legge è stata integralmente recepita dal provvedimento di riesame dell’AIA ILVA, adottato dal Ministro Clini in data 26.10.2012, che ha previsto il riesame dell’autorizzazione alla luce delle risultanze della VDS pugliese.
In seguito, il Legislatore Nazionale è intervenuto con il D.L. 3.12.2012 n. 207, poi convertito con l. 231/2012, fissando alcune novità, inclusa la definizione del concetto di valutazione del danno sanitario.
Il D.L. 207/12 prevede infatti l’esecuzione di una VDS, sulla scorta di linee guida affidate ai Ministeri della Salute e dell’Ambiente.
E’ opportuno inserire tutto ciò nel contesto degli interventi statali che, con la l. 89 del 3/8/2013, hanno istituito la figura del Commissario Straordinario, innovazione che considero positiva benchè indebolita dalla scelta dell’ex AD di ILVA, il dott. Bondi.
Ritengo un ulteriore limite dello stesso decreto la eliminazione della figura del Garante, figura di trasparenza e garanzia verso le popolazioni e le Istituzioni.
Lo stesso Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria affidato agli esperti del Ministero vede Regione ed Arpa intervenire con osservazioni integrative e modificative a nostro parere assolutamente necessarie.
Stupisce perciò che i Ministeri dell’Ambiente e della Salute, con il Decreto Interministeriale del 23.8.2013, abbiamo stabilito criteri metodologici che ritardano di alcuni anni quella verifica che la nostra normativa consente di espletare già da subito sulla base del rapporto VDS ILVA che è già stato predisposto dalla Regione e dal quale emerge la necessità immediata di implementare ulteriori misure per indirizzare le prescrizioni AIA a livelli adeguati di protezione sanitaria.
Insufficienti, minimaliste e francamente da respingere sono perciò le controdeduzioni del Commissario, che rimandavano a particolari abitudini di vita della popolazione tarantina (fumo di sigaretta) o ambientali (traffico autoveicolare) gli eccessi di rischio sanitario acclarati da numerosissimi studi, oltre che dalla perizia epidemiologica disposta dal GIP del Tribunale di Taranto.
La procedura interministeriale, essendo basata esclusivamente su dati misurati, non può essere utilmente implementata se non alla conclusione di tutti gli interventi e misure previste dall’AIA ILVA, ovvero non prima dell’agosto 2016. Considerando che i dati consolidati per l’anno 2016 non saranno disponibili prima del 2017, ne deriva che il primo rapporto VDS ILVA secondo i criteri illustrati nel decreto, non potrà essere disponibile prima di quattro anni.
La nostra contrarietà a tale impostazione è stata dapprima esplicitata nell’apposito Tavolo Tecnico ministeriale, ed oggi rappresentata con ricorso al TAR del Lazio, ricorso parallelo a quello di ARPA.
Allegati:
Lo stabilimento ha funzionato per oltre quarant’anni in base ad autorizzazioni settoriali arcaiche, che riflettevano un ordinamento poco evoluto.
Nel 2005 il primo Governo Vendola trova una autorizzazione del 2003 che disciplina le emissioni in atmosfera alla luce del DPR 203/1988, e che di fatto consta di poche pagine nelle quali si elencano i numerosissimi camini dell’ILVA, disciplinando i limiti di alcuni inquinanti.
Per esempio, il camino dell’agglomerazione (E 312) viene disciplinato solo per i limiti di polveri, NOx e SOx. Quanto alla diossina, vale il limite di 10.000 nanogrammi/normalmetrocubo stabiliti dal DM Ronchi/Bersani del 1997.
E’ in tale contesto che l’impianto ha operato fino a quando è stato avviato il programma di interventi di adeguamento alle BAT poi cristallizzato dall’AIA 2011; al procedimento autorizzatorio, di competenza del Ministero dell’Ambiente, la Regione e le Istituzioni locali hanno preso parte richiedendo l’introduzione di prescrizioni e misure che in parte sono state recepite dal Ministero, e che ILVA ha impugnato dinanzi al TAR. Alcune hanno passato il vaglio del Giudice, come quella sul riuso delle acque reflue, a tutela della risorsa idrica. Peraltro, in sede di istruttoria dell’AIA 2011, la Regione sottolinea l’esigenza di riesaminare a breve l’AIA a seguito del monitoraggio del Benzoapirene in corso.
Pertanto, su queste basi – e solo su di esse – è stato disposto il riesame dell’AIA 2011, riesame richiesto dalla Regione anche al fine di introdurre nell’autorizzazione la previsione, fino ad allora mancante, della valutazione del danno sanitario. Tale richiesta regionale ha condotto all’AIA 2012, che, come illustrato nella sezione relativa alla Valutazione di Danno Sanitario, ha recepito e applicato la recente normativa regionale sulla VDS. Tale istituto è stato poi trasfuso nell’ordinamento statale, colmando una lacuna legislativa che di fatto consentiva di sganciare le AIA dalla valutazione dei profili di tutela sanitaria. Tutto ciò è accaduto solo perché la Puglia ha operato in tal senso con lungimiranza e determinazione. Nessuna altra AIA in Italia è soggetta a riesame per la Valutazione del Danno Sanitario.
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Torna all'indiceSiamo partiti da una succinta ricognizione di cosa abbiamo trovato, di cosa abbiamo fatto, anche con il contributo dell’opposizione. Per questo credo che si debba comprendere che insinuare il dubbio che la nostra legislazione ambientale fosse e sia un’architettura farlocca o esanime non è solo una offesa a me, ma a questo luogo, al lavoro che vi abbiamo svolto gli uni e gli altri, talvolta gli uni contro gli altri, ma nella libera discussione. Mi piacerebbe che una Autorità scientifica e giuridica indipendente potesse fare un’analisi della legislazione pugliese, in comparazione con le altre legislazioni regionali e con quella nazionale. Vorremmo essere giudicati da chi ha competenza, non da chi ha livore. Ovviamente non parlo dei giudici. Sto parlando della giustizia sommaria che serve a mettere l’abito buono della morale sulle membra sfatte del cinismo politico E comunque un occhio alla parte di allegati, a questa minima documentazione, può aiutare a diradare le nebbie sollevate ad arte da chi ritiene di avere l’esclusiva dell’ecologia e considera gli altri come me degli apostati dell’ecologismo, insomma dei traditori. Faccio queste considerazioni cercando di non deragliare dal binario di una riflessione politica, anche perché non siamo qui in un’aula di giustizia, e cerco di evocare per un attimo quella estate del 2010 quando la Regione e Ilva si incontrarono più volte per affrontare un’agenda che si era andata costruendo su due pilastri che erano davvero decisivo per rendere definitiva quella svolta cominciata con la legge anti-diossina. Il primo pilastro era il lavoro, non il lavoro in astratto ma il lavoro vivo di centinaia di operai in bilico; il secondo pilastro era la cattura del re dei killer, il benzo(a)pirene.
Due pilastri per reggere l’edificio di una grande sfida. Ma anche due nodi intricati allo stesso tavolo. Con i Riva assai preoccupati di rimanere incastrati nelle maglie strette di quei monitoraggi diagnostici che non sono un modo di menare il can per l’aia – come ritiene una certa vulgata di piazza – ma che sono l’unico modo per localizzare la sorgente di quell’inquinamento che è certificato dagli sforamenti importanti dei limiti emissivi del pericoloso veleno. E con noi, amministratori regionali, assediati dal tema incandescente dei posti di lavoro, di quelli delle centinaia di somministrati ma anche di quelli che fanno di Ilva la più grande fabbrica d’Italia.
Mi sia consentito di riepilogare brevemente questo tema per noi davvero incandescente: Ilva nel corso del tempo ha fatto massicciamente ricorso all’istituto della “somministrazione” per colmare necessità di organico, e risultava aver sottoscritto il 22 maggio 2008 con una parte dei sindacati un accordo per disciplinare tale utilizzo (accordo siglato con tutti eccetto la Fiom). A partire dal 2010 si registrano forti tensioni tra l’azienda e questi lavoratori precari che, insieme alla Fiom, lamentano una progressiva espulsione dei precari “storici” dalla fabbrica: 750 secondo il sindacato, 616 secondo le analisi successive della Task Force regionale. Così Ilva impedirebbe ai precari storici di raggiungere l’anzianità necessaria per l’applicazione dell’Accordo separato del 2008 (che riconosce un diritto alla stabilizzazione in azienda decorsi 37 mesi di lavoro interinale). A seguito della protesta il Sindaco di Taranto convoca un incontro il 17 marzo 2010, informando la Regione che prende così coscienza di quella vertenza. Da quel momento la nostra Task Force se ne occuperà con continuità, anche perché la vertenza si carica sempre più di tensione. Il 10 giugno una folta delegazione di quei lavoratori precari saranno sotto la sede regionale, accompagnati dal segretario della Fiom di Taranto. Si comincia un lungo e defatigante negoziato sul loro destino: si svolgono riunioni il 17 giugno, il 12 luglio, il 28 luglio, il 29 ottobre con rinvio al 5 novembre, il 1° dicembre. Grazie a questo impegno nostro e della Task Force si giungerà all’accordo il 9 dicembre 2010: accordo siglato in fabbrica, con tutte le rappresentanze sindacali.
Ecco la nostra ansia in quell’estate del 2010: evitare che il tema dei posti di lavoro potesse abbattersi come un ciclone sul tema benzo(a)pirene e viceversa. Eravamo obbligati dalla nostra coscienza a vincere su entrambe le questioni, che affrontavamo allo stesso tavolo.
E’ tutta qua la cordialità con Gerolamo Archinà, con l’uomo con cui parla tutta Taranto, l’uomo che cosparge Taranto di compensi, di contratti pubblicitari, di finanziamenti, di promesse occupazionali, di prebende (almeno sono queste le cose che emergono dalle inchieste giornalistiche e da quella giudiziaria). Io non sono in quell’agenda di gratificazioni, non sono in quel libro-paga, al vecchio Emilio Riva ho detto fin dal primo giorno che con me i rapporti saranno regolati dal rispetto di alcuni valori con cui la grande fabbrica ha poca confidenza: il valore della vita continuamente minacciata dagli incidenti sul lavoro, costantemente ferita e spesso strozzata dai veleni, sempre in bilico quando perdi il lavoro e guadagni la povertà. Ma cosa mi vuol dire la proprietà, tanto da avermi chiesto un incontro, appena fossi tornato dal viaggio in Cina a luglio? Mi voleva dire che gli sforamenti non possono essere attribuiti a Ilva, che qualunque equazione è un abuso, che forse i dati sui primi monitoraggi non sono corretti. E io gli dirò che non impediremo di verificare i dati, di non preoccuparsi, che noi vogliamo solo capire la verità e operare per il bene. Mi vorrà spiegare che nella direttiva comunitaria sulla qualità dell’aria quando si indica la soglia-obiettivo per il benzo(a)pirene si indica (come dice la parola stessa e come scriverà il Tar di Lecce) un traguardo da raggiungere e non un limite immediatamente prescrittivo. Noi vogliamo semplicemente guadagnare il consenso della proprietà all’acquisto da parte loro delle centraline per il monitoraggio del benzo(a)pirene, così come ha fatto l’Eni e la Cementir. E vogliamo anche un ripensamento di fondo sul tema dei licenziamenti. Quegli operai, alcuni dei quali intentano azioni di protesta anche clamorose, sono per noi un chiodo fisso. Era questo il tema soprattutto dei documenti e delle telefonate che ricevevo dalla Fiom. Siamo dunque ad un passaggio cruciale nella vicenda Ilva: mai come in questo caso il precipuo dovere di un pubblico amministratore è quel “contemperamento di interessi” di cui ci parla la Corte Costituzionale. Archinà è un mediatore indispensabile per raggiungere lo scopo. Intanto lui ha il ruolo istituzionale di rappresentante dell’azienda con le pubbliche amministrazioni. Non ha lo stile chiuso e arrogante di altri manager o rappresentanti Ilva. Nel corso degli anni con lui affrontiamo molte partite delicate, che sono gli oggetti permanenti del negoziato sempre aperto con il siderurgico: la sicurezza dei lavoratori, il posto di lavoro, le rappresaglie contro i lavoratori sindacalizzati, la salute in fabbrica e fuori della fabbrica, la qualità ambientale in quel conglomerato di acciaio, polvere e fuoco. Se ripercorrete la rassegna stampa di quel 2010 vedrete Ilva in atteggiamento sempre litigioso con la Regione, impugnano tutti i nostri provvedimenti. Bisogna continuamente ritrovare il filo del dialogo, perché nella rottura non c’è il seme del cambiamento, c’è la paralisi, quel sentimento di sconfitta e di impotenza che, insieme ai veleni, sta uccidendo Taranto. A quella benedetta riunione del 15 luglio 2010 Ilva accetta di acquistare le centraline, dopo pochi giorni smentisce quella decisione. Dirà l’Avv. Perli, un falco nella geografia del potere Ilva: “Io non pago la corrente al boia che…” Completerà la frase Fabio Riva: “al boia che mi vuole mettere sulla sedia elettrica”. La mia cordialità, una risata su un video di sette mesi prima fattomi vedere estemporaneamente da amici, anche le parole inappropriate che posso rivolgere a un giornalista, sono solo un modo di riannodare quel filo. In verità l’oggetto della mia ilarità è proprio lui, per il buffo atteggiamento da servitore zelante, per quello “scatto felino”. Ho persino paura che si senta preso in giro da quel mio ridere, che ne comprenda il senso reale. Ma Archinà per me è indispensabile in quel momento: deve tranquillizzare la proprietà e portarla ad una riunione a cui la Regione chiede un risultato da campionato del mondo. Vincere sul fronte ambientale senza perdere sul fronte occupazionale. Chi non comprende questo, che è tanta parte della storia mia di questi anni, può indugiare in analisi dietrologiche, criminologiche, filologiche o semantiche, ma non comprenderà l’essenziale. Può vedere il torbido, anche quando non se ne comprende il perché. Perché svendere la più bella tra le battaglie della mia vita?
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Mi sia consentito di chiudere qui, questa ricostruzione di fatti che permettono anche una più chiara comprensione del ruolo di ciascuno, che consentono di capire quanto dura e complessa fosse la questione Ilva, perché dura e complessa è quella fabbrica, con i suoi persino drammatici rendiconti sempre rinviati con la città, con la sua salute, con i suoi diritti fondamentali. In questo, come in tutti i campi, gli attori istituzionali possono avere valutazioni distorte degli eventi e degli attori in campo, possono sbagliare le scelte. Questo vale anche per me. Ma i fatti, e gli atti che ne documentano la consistenza e la traiettoria, non possono essere cancellati da una bolla di diffamazione che rischia di travolgere non solo me, ma anche quelli che con me hanno lavorato in questi anni.
Su questo devo aprire un inciso. Doveroso.
Chi ha lavorato con me? La mia maggioranza. Larghi pezzi della opposizione. Che ringrazio. Ma soprattutto, centinaia di funzionari, operatori sanitari, giovani precari. Tante e tanti, il cui lavoro corre il rischio di essere schiacciato, mortificato e cancellato dai processi di piazza. E’ stato giusto chiedere il Registro Tumori. Ma era ed è stato complicatissimo realizzarlo. Da zero. E’ stato corretto proporre una rivoluzione nelle strategie ambientali. Ma metterla in atto ha chiesto a giuristi, epidemiologi, chimici, ingegneri ambientali, amministratori, tecnici operativi di impegnarsi come non era mai stato nemmeno ipotizzato in nessuna parte di Italia. Contro abbiamo avuto uno dei gruppi industriali e finanziari più rilevanti d’Europa. La mia Amministrazione è nelle condizioni di rispondere punto per punto agli interrogativi che pone e porrà la Magistratura. Ma vorrei segnalare che sullo sfondo del processo, in qualche modo approfittando del processo – si badi senza responsabilità della Magistratura - sembrano agitarsi personalità che nulla hanno a che vedere con la corretta dinamica processuale che propongono un protagonismo personale che è esattamente il contrario della democrazia. Che si alimenta su un dialogo corretto tra movimenti ed istituzioni. Che si deve sostenere su procedimenti equi, assoggettati allo scrutinio dei Giudici non solo penali, ma anche amministrativi (spesso non generosi con le ambizioni ambientali della Regione). E’ un protagonismo strumentale che corre il rischio di travolgere la storia, la ragione, ma anche la buona volontà e la generosità di chi ha lavorato in questi anni in un terreno disseminato di trappole, ostacoli e resistenze annidate in ogni angolo della fabbrica più grande d’Italia
Io, e quelli che hanno lavorato con me in questi anni, abbiamo operato non per generare un conflitto fine a se stesso o utile per ragioni politiche e strumentali, hanno operato per portare risultati concreti, per schiudere la porta di un cambiamento palpabile e di una speranza nuova, nuova per una città stremata. Stremata dalla paura del cancro ma anche dall’invadenza di dinamiche mafiose ben dentro il recinto della pubblica amministrazione, stremata dalle sue troppe povertà, stremata poi dal dissesto finanziario. Taranto era una città che, negli anni post-dissesto, faticava a trovare le risorse per seppellire i morti, riscaldare le scuole, illuminare le strade cittadine. Ilva appariva come la gabbia di una fatale maledizione: quella che tante volte ha offerto al Sud lavoro in cambio di vita, industria in cambio di bellezza, reddito in cambio di salute. Qui dovevamo dare un segno di svolta. All’inizio fu facile costruire con tutta la città una relazione vitale e feconda: istituzioni, movimenti, popolo tarantino si ritrovarono insieme nella mobilitazione delle coscienze. E fu la guerra alla diossina. Subito dopo però, a vittoria guadagnata, nacquero i sospetti, ci fu chi a Taranto cominciò a teorizzare che abbassare i limiti emissivi non aveva alcun significato (“tanto sganciare 10 bombe atomiche, tanto sganciarne 1: non c’è differenza!”). Ci fu chi disse che ambientalizzare Ilva era l’inganno più grande. La fabbrica andava chiusa, occorreva su questo fare un referendum. Questa spaccatura inghiottì la novità delle leggi ambientali, travolse la discussione politica che si andava alimentando di veleni culturali che si cumulano agli altri veleni. Io prendo posizione contro la chiusura della fabbrica e divento, per molteplici ma convergenti ragioni, la calamita di tutte le polemiche. Il mio unico reato è stato questo: aver difeso il lavoro, senza mai ammorbidire la mia ambizione ecologista. A certi ambientalisti non interessa tanto ottenere un risultato, quanto avere l’esclusiva della bandiera. E a chi con Ilva ha avuto qualche confidenza di troppo non pareva vero inchiodare me, che non risulto beneficiario di alcunché, per una confidenziale telefonata. Quanti miei fustigatori paiono piuttosto confidenti con la generosità di Archinà. Molti hanno pensato di potersi liberare della loro storica connivenza, del loro decennale silenzio, gustandosi lo spettacolo della messa in stato d’accusa dell’unica classe dirigente che ha inteso operare per il bene di Taranto. Senza soggezione ad alcun padrone. Questa storia non si scioglierà come neve al sole. Abbiamo appena cominciato a raccontarla. Soprattutto vogliamo continuare a scriverla.
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21/11/2013
Ilva di Taranto: Nichi Vendola chiede a Orlando tempestive variazioni dell’Aia
20/11/2013
Vendola a Ronchi: “Non sono d’accordo ma mi adeguo”
A seguito delle dichiarazioni del sub commissario dell’Ilva Edo Ronchi, in relazione alla possibilità che “l’applicazione delle Migliori Tecniche Disponibili consentivano e consentono di stare a 0,1 nanogrammi” per quanto riguarda le emissioni di diossine e furani, il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola ha scritto al Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando “affinchè le competenti strutture ministeriali vogliano porre in essere, con la necessaria tempestività, le azioni necessarie ad introdurre le opportune variazioni nell’AIA”.
Di seguito il testo integrale della lettera che il Presidente Vendola ha inviato al Ministro Andrea Orlando
La stampa riporta oggi una dichiarazione dell’On.le Edo Ronchi, sub Commissario ILVA, in base alle quali le performance ambientali del camino E 312 dello stabilimento tarantino, relativo all’impianto di agglomerazione, sarebbero suscettibili di implementazioni ulteriori rispetto a quanto previsto nell’AIA in essere. In particolare, in relazione alle emissioni di diossine e furani, il sub Commissario ha dichiarato che l’applicazione delle Migliori Tecniche Disponibili “consentivano e consentono di stare a 0,1 nanogrammi”. La comunità pugliese ha vivo interesse al perseguimento di tali obiettivi, che consentirebbero di ridurre ulteriormente i livelli di emissione dell’impianto di agglomerazione, attualmente contenuti nel valore limite di 0,3 ng/mc teq (destinati a scendere a 0,2 ng/nmc teq). Per queste ragioni, Ti chiedo di voler disporre affinche’ le competenti strutture ministeriali vogliano porre in essere, con la necessaria tempestivita’ , le azioni necessarie ad introdurre le opportune variazioni nell’AIA, anche ai sensi dell’art. 29/octies del d.lgs. 152/2006. Ciò, anche in considerazione dell’imminente approvazione del Piano delle Misure di cui all’art. 1 , comma 5, d.l. 61/2016, e della successiva elaborazione del Piano Industriale a cura del Commissario Straordinario.
Una dichiarazione del Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola in risposta ad una nota di Edo Ronchi, attuale subcommissraio dell’Ilva, in merito ad alcune affermazioni contenute nella relazione “La battaglia dell’Ilva” presentata ieri in Consiglio regionale dal Presidente Vendola.
“Le osservazioni tecniche contenute nella Relazione presentata ieri in Consiglio Regionale non volevano sviluppare polemiche retrospettive, ma ricostruire una dinamica legislativa e regolamentare che chiunque - con un po’ di pazienza – potrebbe ricavare su un qualsiasi manuale di diritto ambientale.
L’on. Ronchi (ora subcommissario dell’ILVA) sostiene che è stato il ‘suo’ d.lgs. 372/1999 a fissare il limite di emissione delle diossine a 0,1 nanogrammi per normalmetrocubo (ng/nmc teq) per i grandi impianti industriali, come l’ILVA.
Non siamo d’accordo con questa interpretazione.
In realtà il d.lgs 372/1999, recependo la normativa comunitaria in materia di AIA, all’art. 3, comma 2, disponeva che gli impianti esistenti si sarebbero dovuti sottoporre ad AIA recependo le migliori tecniche disponibili (le BAT). Era compito dei Ministeri competenti di definire Linee Guida contenenti le BAT.
Fermo restando quindi che la norma Ronchi non prevedeva alcun limite di emissione, essa obbligava i Ministeri ad una attività preliminare.
Il Governo invece di svolgere tale attività, nel 2005 con un successivo D.Lgs. (il 59/2005) abrogava il 372/1999. E sempre nel 2005 finalmente predisponeva le Linee Guida che prevedevano per le emissioni il raggiungimento in condizioni normali di una concentrazione di diossine uguale o inferiore a 0,5 ngTEQ/Nmc. Si sottolinea 0,5 e non 0,1 e comunque applicabile solo attraverso una AIA.
Ma all’epoca l’ILVA non aveva l’AIA ed anzi le cose andavano per le lunghe.
Per questo si spiega come per la Regione Puglia diventò fondamentale intervenire direttamente con la famosa Legge Regionale anti-diossine.
E’ stato quindi per merito della Legge Regionale che all’appuntamento AIA del 2011 l’ILVA sia arrivata con un impianto di agglomerazione con limiti emissivi su standard accettabili. Se non ci fosse stata la legge antidiossine, si sarebbe partiti da un potenziale 10.000 ng/nmc per arrivare chissà quando agli obiettivi.
Questo è il diritto. E la Regione è ovviamente sempre disponibile ad un confronto tecnico con il subcommissario Ronchi, quando lo vorrà. E’ chiaro tuttavia che se fosse giusta l’osservazione dell’on. Ronchi non si capisce come mai il Ministero dal 1999 ha consentito all’ILVA e a tutte le grandi aziende industriali di superare il limite di 0,1 ng/nmc.
Ma alla comunità pugliese e tarantina interessano anche i propositi che emergono dalle tesi di diritto, anche quando esse sono opinabili.
Siccome il subcommissario sostiene che “le BAT consentivano e consentono di arrivare a 0,1 ng/nmc”, ci aspettiamo che il subcommissario (che rappresenta lo Stato nella gestione ambientale dello stabilimento) presenti immediatamente al Ministero una variazione migliorativa dell’AIA per scendere dal valore previsto nell’AIA Clini di 0,3 ng/nmc a quello da lui indicato come standard raggiungibile di 0,1 ng/nmc.
In ogni caso, sarà cura della Regione Puglia di segnalare tale osservazione e sostenere questa tesi - pure se formulata a mezzo stampa - al Ministero dell’Ambiente ed al Comitato di Esperti in vista dell’approvazione del Piano delle Misure. Una volta tanto saremmo d’accordo nell’interesse dei pugliesi e della loro salute”.